Interventi
21 September 2023

Decreto Sud, la direzione è quella giusta

Il Decreto Sud ha suscitato apprezzamenti e critiche di segno opposto: numerosi apprezzamenti per il varo di una Zona Economica Speciale (ZES) unica per tutto il Mezzogiorno, considerata passaggio risolutivo, e altrettanto numerose critiche per la struttura di governance dei fondi di coesione, giudicata troppo centralistica.

Leggi tutto >

Il Decreto Sud ha suscitato apprezzamenti e critiche di segno opposto: numerosi apprezzamenti per il varo di una Zona Economica Speciale (ZES) unica per tutto il Mezzogiorno, considerata passaggio risolutivo, e altrettanto numerose critiche per la struttura di governance dei fondi di coesione, giudicata troppo centralistica. Vorrei qui sostenere un punto di vista diverso: trovo le critiche sostanzialmente sbagliate, e rispondenti a interessi localistici che poco hanno che fare con una politica di sviluppo; e trovo gli apprezzamenti non sempre consapevoli delle criticità che si devono risolvere con riferimento alla ZES unica.

La riforma della governance del Fondo Sviluppo e Coesione (FSC) prevede che l’utilizzo delle risorse FSC da parte delle Amministrazioni centrali e delle Regioni (sia del Sud che del Nord) sia condizionato alla stipula di «Accordi di coesione» tra ognuna di esse e il Ministro per il Sud e la Coesione. Gli Accordi definiscono obiettivi, interventi e loro tempistiche, nonché le complementarietà con l’impiego dei fondi strutturali europei. Vengono inoltre stabilite modalità di monitoraggio stringenti sull’uso effettivo delle risorse da parte delle amministrazioni titolari degli interventi.

Per la ZES unica – che va a sostiture le otto attuali – viene istituita una apposita Cabina di regia presieduta dal Ministro per il Sud, e comprendente altri Ministri e i Presidenti di Regione, e una Struttura di missione che predispone il Piano strategico, segue la realizzazione degli interventi e coordina la Conferenza dei servizi per l’Autorizzazione unica (sostitutiva di tutti i titoli abilitativi). Si generalizzano poi a tutti gli investimenti nei territori del Mezzogiorno le semplificazioni procedurali previste per le aree ricomprese nelle attuali otto ZES. Si rifinanzia fino al 2026 il Credito d’imposta per investimenti al Sud, potenziandolo in modo omogeneo sul territorio e in misura consistente (la massima compatibile con la normativa europea sugli aiuti di Stato).

Una valutazione di queste disposizioni, condotta con lo sguardo rivolto alla costruzione di una politica di sviluppo, evidenzia come quella che i critici considerano una governance troppo accentrata è in realtà un punto di forza del decreto: l’assunzione di responsabilità da parte della Presidenza del Consiglio circa l’uso effettivo delle risorse, attraverso la sottoscrizione di «Accordi di coesione» con Ministeri e Regioni, è condizione necessaria per costruire una politica di sviluppo coerente del Paese e del suo Mezzogiorno, evitando la frammentazione anarchica e localistica degli interventi. Si tratta di uno schema di governance che si ispira a quello impostato dall’Unione Europea per l’utilizzo, nei PNRR nazionali, delle risorse di Next Generation EU e che, mi sia consentito rimarcarlo, ricalca e sviluppa quanto venne impostato dai Governi Renzi e Gentiloni con i “Patti per lo sviluppo” del biennio 2016-17, lasciati inattuati e poi cancellati dai governi 2018-21. Piuttosto, rilevo per inciso che questo quadro di governance risulterebbe gravemente ostacolato se andasse avanti il progetto di autonomia differenziata, che attribuisce a livello regionale la competenza esclusiva su essenziali infrastrutture di interesse nazionale.

Venendo alla ZES unica, credo non sia inutile richiamare il senso del disegno originario che nel 2017 ha portato alla istituzione delle otto ZES attuali. L’idea era quella di fare dei porti meridionali, e della loro rete di retroporti e interporti, l’infrastruttura logistica e industriale necessaria a rafforzare la posizione del Mezzogiorno nel Mediterraneo, per farne un punto di riferimento nella ridefinizione dei traffici internazionali e delle catene globali del valore. Un disegno quindi di politica industriale che passava per la concentrazione nelle ZES di forti investimenti infrastrutturali su porti e interporti e per l’attrazione di rilevanti investimenti privati nella logistica e nelle industrie collegate. Un disegno che è stato depotenziato negli anni 2018-21 da una discutibile gestione di interessi localistici da parte delle Regioni e dall’acquiescenza dei governi dell’epoca.

Ora, però va evitato il rischio che la sostituzione della ZES unica alle otto centrate sui porti di interesse europeo finisca per disperdere un possibile strumento di politica industriale. E non va sottovalutato neanche il rischio che, ammettendo a procedure semplificate e Autorizzazione unica tutti gli investimenti infrastrutturali e di insediamento produttivo nel Mezzogiorno, si possa determinare un pericoloso collo di bottiglia procedurale.

Certo però l’istituzione di una ZES unica va nella direzione di considerare l’insieme del Mezzogiorno come area che ha bisogno di una politica di sviluppo dedicata e coerente e sollecita la costruzione di un quadro unitario centrale per la sua programmazione e organizzazione. Si tratta allora di riprendere, all’interno del Piano strategico della ZES unica, il ruolo di porti e interporti come centri logistici propulsori di sviluppo e di rafforzamento della proiezione internazionale dell’economia italiana. E si tratta di concentrare le semplificazioni procedurali solo sulle infrastrutture e gli insediamenti produttivi fondamentali del Piano (come del resto si fa con le procedure autorizzatorie in ambito PNRR).

 

Intervento di Claudio De Vincenti sul Corriere del Mezzogiorno

SEGUIMI SUI SOCIAL