Interventi
03 November 2023

Il governo ora passi alla attuazione

Una cosa è ormai evidente: non si può e non si deve tornare al passato, a quel regionalismo anarchico al quale le politiche di coesione furono affidate fino a tutto il primo decennio degli anni Duemila. 

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Una cosa è ormai evidente: non si può e non si deve tornare al passato, a quel regionalismo anarchico al quale le politiche di coesione furono affidate fino a tutto il primo decennio degli anni Duemila.

Nei fatti, si ebbe sostanzialmente una delega degli interventi alle regioni da parte dei governi centrali, che (con alcune rilevanti eccezioni) si limitavano a redistribuire le risorse europee e nazionali, senza dare coerenza strategica alla spesa né monitorarne l’uso effettivo: il contrario di quella che dovrebbe essere una politica di sviluppo.

Ne sono derivati estrazione di rendite da parte di forze politiche e imprenditoriali locali e deriva assistenzialistica. Il risultato è stato la mancata riattivazione della convergenza Sud-Nord, rimasta ferma ai successi ottenuti dalla strategia – ben diversa – della Cassa per il Mezzogiorno nei suoi primi venti anni di vita.

Un primo tentativo di cambiare rotta è stato condotto negli anni 2014-17. Prima con l’istituzione delle task-force governo-regioni, che hanno consentito di recuperare il ritardo nella spesa dei fondi strutturali europei 2007-13, completandola (con rimodulazioni) entro la scadenza di fine 2015.

Poi con l’attivazione di due fondamentali linee di intervento: (i) i Patti per il Sud, con i quali governo e singole regioni e città metropolitane stabilivano insieme obiettivi, strumenti e monitoraggio reciproco sull’uso dei fondi; (ii) gli incentivi automatici, come il Credito d’imposta per gli investimenti al Sud, diretti – senza intermediazione politica – a sostenere gli investimenti delle imprese (integrando per il Mezzogiorno gli incentivi generali di Industria 4.0), nonché gli incentivi per i giovani che si impegnano a metter su un’attività d’impresa, come Resto al Sud.

In poco più di un anno di attività, i Patti per il Sud avevano messo in moto primi investimenti per un valore di 9 miliardi di euro (relazione del governo al 31 dicembre 2017): i governi successivi hanno abbandonato i Patti, mandando disperso questo potenziale. Il Credito d’imposta, tra 2017 e fine 2020 (ultimo dato ufficiale), ha attivato oltre 12 miliardi di investimenti delle imprese, impegnando circa 4 miliardi di contributo pubblico, con una leva di 1 a 3. Resto al Sud, nei suoi primi cinque anni di vita (quindi a tutto il 2022), ha consentito la nascita di oltre 14 mila imprese, dando occupazione a più di 50 mila giovani e attivando oltre un miliardo di investimenti.

Il recente Decreto Legge del Ministro Fitto riprende il filo di questa impostazione, prevedendo che l’utilizzo del Fondo sviluppo e coesione passi per “Accordi di Coesione” in cui governo e singole regioni concordano obiettivi e strumenti e un monitoraggio stringente sull’utilizzo delle risorse.

E’ una impostazione che trova oggi alimento nell’analoga ispirazione data dalla Commissione Europea a NGEU, con i relativi PNRR dei singoli Paesi. L’ambizione dichiarata dal governo è di riportare a coerenza in una strategia complessiva il PNRR, i fondi strutturali e il Fondo sviluppo e coesione. La stessa proposta della ZES unica per il Sud vuole andare in questa direzione, attraverso la costruzione di un piano strategico di sviluppo e con un potenziamento del Credito d’imposta.

Ma il successo o meno di questa strategia dipenderà dalle capacità attuative che il governo saprà mettere in campo.

Gli Accordi di Coesione, per esempio, richiedono una intensa e continua interazione tra governo e regioni, prima nella fase di elaborazione e poi ancor più in quella dell’attuazione. L’esperienza recente della rimodulazione del PNRR insegna: giusta l’esigenza del governo di concentrare le risorse sui progetti veramente realizzabili entro il 2026, ma giusta anche la recente rivalutazione dei progetti dei Comuni, quelli realmente importanti, che stavano marciando.

La ZES ha bisogno di un piano strategico che potenzi gli assi portanti dello sviluppo infrastrutturale – specie trasporti e logistica – e acceleri i processi autorizzativi. Al riguardo, attenzione: è consigliabile portare all’autorizzazione unica centrale, con le sue procedure accelerate, solo gli investimenti di rilevanza strategica, altrimenti il rischio è l’ingolfamento di troppe procedure autorizzative sulle strutture centrali.

Infine, il Credito d’imposta per gli investimenti ha bisogno di copertura adeguata e su base pluriennale, altrimenti il rischio è che venga introdotta qualche norma-rubinetto, con annesso “click-day”, che depotenzierebbe drammaticamente lo strumento.

Insomma, come sempre nell’attività di un “esecutivo”, la prova decisiva sta nella fase di esecuzione.

 

Intervento di Claudio de Vincenti su Il Sole 24 Ore

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