Un venerdì nero per l’Italia e per il Mezzogiorno: l’aumento dei tassi di interesse e la caduta dei prezzi dei titoli del debito pubblico – innescati dall’annuncio del Governo di un disavanzo molto al di sopra dei limiti sui quali il Governo stesso si era impegnato a fine giugno in sede europea – è il campanello di allarme di una crisi di fiducia che ricade sul Paese nel suo complesso. Non a caso, il violento aggiustamento della Borsa ha bruciato in un solo giorno 22 miliardi di capitalizzazione delle imprese italiane, indebolendone la struttura patrimoniale che è elemento essenziale per sostenere produzione e investimenti.
Avevo segnalato prima dell’estate il rischio che la conduzione incerta della politica economica del Governo e alcune dichiarazioni avventate in materia di bilancio pubblico e di relazioni intraeuropee potessero determinare una interruzione del percorso di ripresa economica avviato nel triennio precedente, un percorso essenziale per le sorti del Sud e che ha visto proprio il Sud protagonista attivo. Purtroppo il rischio “gelata” è stato reso più corposo dalla Nota di aggiornamento al DEF presentata dal Governo. La crisi di fiducia che ha innescato rischia di inaridire le fonti di finanziamento degli investimenti, compromettendo le prospettive di crescita economica e occupazionale del Paese e a maggior ragione del Mezzogiorno, dove tradizionalmente si scaricano prima e più intensamente che al Nord le contrazioni che avvengono nel credito e nei flussi di capitale.
Il fatto è che il 2,4% di disavanzo annunciato dal Governo per il 2019 significa un aumento molto consistente del cosiddetto disavanzo strutturale, ossia dell’indicatore chiave ai fini della valutazione sulla capacità effettiva di un Paese di ripagare i debiti che contrae. Come l’esperienza quotidiana di ognuno di noi ci insegna quando ragioniamo sul nostro bilancio familiare, è dai numeri che dipende l’affidabilità di cui si può dare prova nel rivolgersi a qualcun altro per avere un prestito. Per di più, la Nota di aggiornamento stabilisce che anche nel 2020 e nel 2021 il deficit resterà al 2,4%: un disallineamento quindi del disavanzo strutturale perdurante nel tempo.
A ciò si aggiunga che le indicazioni fornite dal Governo sull’utilizzo dei margini di maggior deficit concentrano il grosso della manovra su interventi che aumentano la spesa corrente – il cosiddetto “reddito di cittadinanza” e la riduzione dell’età pensionabile – o riducono le imposte (peraltro per una platea ristretta di imprese), comprimendo così lo spazio per misure di sostegno agli investimenti e alla crescita. Non a caso, si prospettano modifiche alle misure di Industria 4.0 – superammortamento e iperammortamento – che ne renderanno più complicato l’utilizzo, mentre è scomparso dall’orizzonte ogni riferimento al credito d’imposta per gli investimenti nel Mezzogiorno. Né il “reddito di cittadinanza”, per quanto se ne potrà realizzare, migliora le prospettive di crescita del nostro Meridione: come ha ampiamente dimostrato l’esperienza del passato, misure di mero sussidio non creano condizioni di sviluppo, anzi finiscono per ostacolarlo; il Sud ha bisogno di investimenti, aumento della capcità produttiva, occupazione.
Ma ancor più gravi della compressione delle risorse per il sostegno agli investimenti, sono le conseguenze che deriverebbero da un ulteriore deteriorarsi per le imprese delle condizioni di finanziamento sui mercati. In tal caso, anche gli effetti di incentivazione propri di Industria 4.0, credito d’imposta Sud, decontribuzione assunzioni a tempo indeterminato e Resto al Sud risulterebbero pesantemente indeboliti se non del tutto compromessi. E, del resto, l’aumento dei tassi di interesse innescato da una crisi di fiducia finirebbe anche per erodere i margini di bilancio a disposizione delle stesse politiche che stanno a cuore al Governo.
Il fatto è che solo risorse liberate nel quadro di una politica di bilancio che garantisce la sostenibilità del debito – come fatto dai precedenti Governi – sono risorse reali a disposizione della crescita del Paese. Un debito non sostenibile invece distrugge risorse e vanifica quelle che ci si illude di aver aggiunto. Sta ora al Governo tornare a una gestione responsabile della finanza pubblica, se vuole evitare che il venerdì nero evolva in quel “cigno nero” che sarebbe il detonatore di una crisi finanziaria dalle conseguenze imprevedibili per il popolo italiano.