Fa male, percorrendo oggi le strade del Salento, osservare il doloroso spettacolo di tanti, tantissimi ulivi che vanno disseccandosi a causa della Xylella: un paesaggio ferito, che rischia di restare deturpato per anni. E la domanda viene spontanea alla mente: come è stato mai possibile che in cinque anni si sia passati dal primo focolaio nell’area di Gallipoli a una infezione che sta travolgendo gli uliveti di tutto il Salento fino a raggiungere ormai persino Fasano e Monopoli con i loro ulivi monumentali?
Eppure c’erano tutte le condizioni per impedire un disastro di questa portata. Dall’autunno 2013 erano state avviate dalle autorità nazionali ed europee analisi e controlli, individuando i provvedimenti di urgenza che, sulla base dei protocolli fitosanitari di consenso scientifico, avrebbero bloccato la trasmissione della malattia: misure di contrasto alla diffusione degli insetti vettori del batterio e istituzione, a ridosso delle aree ancora indenni, di una fascia di protezione in cui operare un monitoraggio continuo accompagnato dall’abbattimento delle piante infette e di quelle ad esse prossime. Il 10 febbraio 2015 il Consiglio dei Ministri deliberava lo stato di emergenza e nominava Commissario il Comandante regionale del Corpo forestale, con il compito di mettere in atto gli interventi necessari a bloccare la diffusione della Xylella. Stanziava inoltre le risorse per garantire agli agricoltori, per ogni pianta abbattuta, un adeguato indennizzo economico e misure per la ripresa produttiva successiva.
Ma a questo punto cominciava una brutta storia, fatta di interessi particolari e di pregiudizi alimentati ad arte nei confronti di un preteso “genocidio di massa” degli ulivi: ricorsi al Tar e sospensive che hanno pesantemente ostacolato l’abbattimento delle piante malate, fino al rinvio pregiudiziale del Tar Lazio alla Corte di Giustizia Europea sulla validità delle misure di contrasto alla Xylella. Il culmine è stato raggiunto con il sequestro preventivo da parte della Procura di Lecce degli alberi che dovevano essere abbattuti e l’indagine a carico del Commissario e dei suoi collaboratori per interventi dannosi all’ambiente. L’iniziativa della Procura veniva salutata come una “liberazione” da una parte degli esponenti politici locali e il Governatore della Regione aggiungeva di “considerare chiusa la fase della cosiddetta emergenza”. Il Commissario si dimetteva e nel febbraio 2016 lo stato di emergenza non veniva rinnovato, ritornando così in capo alla Regione i compiti di attuazione delle misure di contrasto della malattia.
Intanto, il 9 giugno 2016 la Corte di Giustizia confermava le misure di contrasto all’espansione della Xylella disposte dall’Unione, a cominciare dalla rimozione immediata delle piante infette. Ma le successive verifiche da parte della Commissione Europea constatavano, al di là dell’impegno nel monitoraggio, l’inerzia della Regione Puglia nell’adottare misure concrete per bloccare l’infezione.
Il risultato di questa storia fatta di demagogia e pregiudizi è purtroppo di fronte ai nostri occhi: la piaga si è allargata enormemente ferendo il paesaggio del Salento e danneggiando pesantemente la sua agricoltura.
Oggi la Giunta regionale sta cercando finalmente di correre ai ripari: mercoledì scorso ha deliberato che, in caso di inerzia del proprietario, le operazioni di trattamento fitosanitario e di estirpazione siano eseguite direttamente da una agenzia regionale e ha disposto azioni di monitoraggio rafforzato sugli ulivi monumentali di Monopoli, Ostuni e Fasano per i quali intende anche presentare istanza a Bruxelles per un supporto finanziario. C’è da augurarsi che la Regione abbia chiaro che, affinché la Commissione risponda positivamente alla richiesta, è ormai ineludibile dimostrare con i fatti la reale volontà di arginare la malattia.
C’è una morale in questa storia e riguarda i compiti della politica: assecondare pulsioni irrazionali di parte (e spesso interessatamente irrazionali) significa compromettere il bene comune dell’insieme dei cittadini, con danni che non risparmiano nessuno, neanche la parte originariamente interessata; il compito della politica non è mettersi alla coda delle spinte che vengono da cieche istanze di parte ma è quello di fornire soluzioni che sappiano ridare la vista a tutti, ricomprendendo gli interessi particolari nell’interesse superiore della comunità.
E’ questione che non riguarda solo il Salento o la Puglia ma l’intero Paese, ed è questione decisiva soprattutto per il Sud e il suo riscatto: il Mezzogiorno non ha bisogno di demagogia, piuttosto ha diritto alla verità.
Articolo del 28 ottobre 2018 per il Corriere del Mezzogiorno