E’ veramente singolare che, di fronte al dilagare della Xylella in Puglia, il ministro Centinaio abbia fatto di tutt’erba un fascio, accusando di indifferenza le istituzioni italiane senza distinzione, e abbia accusato l’Europa di aver consentito il diffondersi dell’infezione. Tanto più che nel decreto emergenze il ministro stesso ha meritevolmente disposto l’applicazione immediata delle misure previste proprio dall’Unione Europea con la sua Decisione del 2015 – compreso l’obbligo di “distruzione delle piante contaminate” – così come a suo tempo aveva già fatto il Governo Renzi scontrandosi con resistenze che l’attuale ministro farebbe bene a ricordare.
Non è male allora, anche per aiutare il ministro a operare con efficacia, ripercorrere – sulla falsariga di un mio articolo dell’ottobre scorso proprio sul Corriere del Mezzogiorno – la storia di questi ultimi sei anni, al fine di capire come sia stato possibile passare dal primo circoscritto focolaio nell’area di Gallipoli a una infezione che sta travolgendo gli uliveti di tutto il Salento fino a raggiungere le campagne di Taranto e minacciare gli ulivi monumentali di Fasano e Monopoli.
In realtà c’erano tutte le condizioni per impedire un disastro di questa portata. Dall’autunno 2013 erano state avviate dalle autorità nazionali ed europee analisi e controlli, individuando i provvedimenti di urgenza che, sulla base dei protocolli fitosanitari di consenso scientifico, avrebbero bloccato la trasmissione della malattia: misure di contrasto alla diffusione degli insetti vettori del batterio e istituzione, a ridosso delle aree ancora indenni, di una fascia di protezione in cui operare un monitoraggio continuo accompagnato dall’abbattimento delle piante infette e di quelle ad esse prossime. Il 10 febbraio 2015 il Consiglio dei Ministri deliberava lo stato di emergenza e nominava Commissario il Comandante regionale del Corpo forestale, con il compito di mettere in atto gli interventi necessari a bloccare la diffusione della Xylella. Stanziava inoltre le risorse per garantire agli agricoltori, per ogni pianta abbattuta, un adeguato indennizzo economico e misure per la ripresa produttiva successiva.
Ma a questo punto cominciava una brutta storia, fatta di interessi particolari e di pregiudizi alimentati ad arte nei confronti di un preteso “genocidio di massa” degli ulivi: ricorsi al Tar e sospensive che hanno pesantemente ostacolato l’abbattimento delle piante malate, fino al rinvio pregiudiziale del Tar Lazio alla Corte di Giustizia Europea sulla validità delle misure di contrasto alla Xylella. Il culmine è stato raggiunto con il sequestro preventivo da parte della Procura di Lecce degli alberi che dovevano essere abbattuti e l’indagine a carico del Commissario e dei suoi collaboratori per interventi dannosi all’ambiente. L’iniziativa della Procura veniva salutata come una “liberazione” dai “negazionisti” assecondati da una parte degli esponenti politici locali e il Governatore della Regione aggiungeva di “considerare chiusa la fase della cosiddetta emergenza”. Il Commissario si dimetteva – per inciso l’inchiesta a suo carico è stata archiviata giusto in queste settimane – e nel febbraio 2016 ritornavano in capo alla Regione i compiti di attuazione delle misure di contrasto della malattia.
Intanto, il 9 giugno 2016 la Corte di Giustizia confermava le misure di contrasto all’espansione della Xylella disposte dall’Unione, a cominciare dalla rimozione immediata delle piante infette. Ma le successive verifiche da parte della Commissione Europea constatavano, al di là dell’impegno nel monitoraggio, l’inerzia della Regione Puglia nell’adottare misure concrete per bloccare l’infezione.
Il risultato di questa storia fatta di demagogia e pregiudizi è purtroppo di fronte ai nostri occhi: la piaga si è allargata enormemente ferendo il paesaggio del Salento e danneggiando pesantemente la sua agricoltura.
In ritardo si sta ora cercando di correre ai ripari: nell’ottobre scorso la Giunta regionale ha deliberato che in caso di inerzia del proprietario le operazioni di trattamento fitosanitario e di estirpazione siano eseguite direttamente da una agenzia regionale; e finalmente, dopo mesi di stallo, il decreto emergenze dell’attuale Governo riprende le linee indicate nel 2015 dal Governo allora in carica.
C’è una morale in questa storia e speriamo che il ministro voglia farla propria, invece di rilasciare dichiarazioni di comodo: assecondare pulsioni irrazionali di parte (e spesso interessatamente irrazionali) significa compromettere il bene comune dell’insieme dei cittadini, con danni che non risparmiano nessuno, neanche la parte originariamente interessata; il compito della politica non è mettersi alla coda delle spinte che vengono da cieche istanze di parte ma è quello di fornire soluzioni che sappiano ridare la vista a tutti, ricomprendendo gli interessi particolari nell’interesse superiore della comunità.