E’ sempre più chiaro che il “contratto” di Governo si concretizza in una singolare spartizione dei compiti tra i due contraenti: a Di Maio e ai 5 Stelle disarticolare il sistema produttivo italiano facendo chiudere le più importanti imprese del nostro Paese, a Salvini e alla Lega disarticolare il sistema istituzionale attuando l’autonomia regionale fuori del quadro costituzionale.
Il recente affondo nei confronti di Atlantia a mercati aperti, un atto inqualificabile per un Ministro dello sviluppo economico, si somma ai voltafaccia su Ilva e sulle altre crisi industriali che – come chiarito domenica scorsa su queste colonne – mettono a rischio migliaia di posti di lavoro, soprattutto nel Mezzogiorno. Gli schemi di intesa con Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna elaborati dalla Ministra leghista Stefani – e che oggi scopriamo essere stati trasmessi sotto traccia un mese fa alla Presidenza del Consiglio – sanciscono – dalle prime anticipazioni disponibili – una ripartizione di risorse e di competenze destinata a spaccare il Nord dal Sud e, come ora vedremo, le stesse Regioni del Nord tra di loro.
Sul versante della finanza pubblica gli schemi prevedono che, trascorsi tre anni senza che siano stati definiti i fabbisogni standard, alle tre Regioni vengano attribuite risorse non inferiori alla spesa media nazionale pro-capite sostenuta dallo Stato per le funzioni trasferite, fermo restando l’ammontare complessivo della spesa a livello nazionale. Una simile clausola ha tre conseguenze disastrose: crea un forte incentivo, per le Regioni interessate, a impedire il raggiungimento dell’accordo sui fabbisogni standard, dato che questi in linea di massima dovrebbero contenere la spesa regionale, non aumentarla; determina una riduzione corrispondente delle risorse a disposizione delle altre Regioni, in virtù della invarianza di spesa complessiva nazionale; determina a regime, ove tutte le Regioni chiedessero l’autonomia nelle medesime materie e con i medesimi criteri, un aumento della spesa pubblica totale, alla faccia degli obiettivi di efficienza e di riduzione della tassazione sbandierati dalla Lega.
Ma ancora peggiori sono le conseguenze che derivano dalla ripartizione di competenze come delineata in quegli schemi di intesa. Verrebbe infatti riconosciuta a Veneto e Lombardia, e in parte anche all’Emilia Romagna, competenza esclusiva sulle procedure di autorizzazione delle infrastrutture di interesse nazionale (sic!) che ricadono nei loro territori, fino a prevedere il loro trasferimento al demanio – cioè alla proprietà – regionale. Stiamo parlando di strade statali e autostrade, di ferrovie statali, di reti e impianti energetici: tutto ciò che connette l’Italia non sarebbe più di competenza centrale ed è facile immaginare che razza di ginepraio di veti incrociati e di strane riserve di caccia regionali ne verrebbe fuori. Sarebbe un colpo mortale non solo alla coesione tra Nord e Sud del Paese ma alla stessa coesione tra le Regioni del Nord: chi garantisce che il potenziamento in territorio lombardo di un’autostrada essenziale per le esportazioni delle imprese venete non venga bloccato da un veto della Lombardia? O che la costruzione in territorio veneto di un elettrodotto essenziale per l’equilibrio del sistema elettrico lombardo non venga bloccata da un veto del Veneto? E chi verrebbe più a investire in un Paese in cui le normative di valutazione di impatto ambientale e di AIA fossero diverse da Regione a Regione? Potrei continuare a lungo, tanto questo scriteriato cupio dissolvi permea le bozze di intesa!
Sarebbe decisamente ora di rinsavire e ricordare che la costruzione dell’unità nazionale non fu un accidente della storia ma la risposta a essenziali obiettivi di sviluppo economico e sociale degli italiani. Così come lo è l’unitarietà del sistema di istruzione nei suoi obiettivi, programmi, valutazioni: con buona pace di Zaia e Fontana, dai tempi del Manzoni la lingua italiana è la cifra della comune cittadinanza che ci unisce tutti, sia sotto il cielo di Lombardia “così bello quand’è bello” sia sotto l’olimpica luce latina di Roma o quella greca del Mezzogiorno d’Italia.
Ma evidentemente degli obiettivi di sviluppo economico e sociale degli italiani al Governo giallo-verde importa ben poco. Più che una spartizione dei compiti, quella cui puntano i due alleati di Governo è sempre più una “spartizione delle spoglie” del nostro Paese: ai 5 Stelle regressione produttiva, disoccupazione e diffusione della sussidio-dipendenza; alla Lega bulimia di poteri regionali, frantumazione del Paese e condanna del Mezzogiorno alla subalternità.