Da sempre lo sport preferito, all’indomani di ogni manovra di bilancio, è metterne in evidenza i difetti, le parzialità, le singole voci spiacevoli, avulse dal contesto complessivo. E stavolta, va detto, questa pratica sportiva ha trovato ulteriore alimento in polemiche più o meno artificiose, ma ben pubblicizzate, sorte dall’interno stesso della maggioranza di Governo. La cacofonia che ne è derivata ha finito – come altre volte in passato – per far passare in sordina le cose buone anche se parziali che la manovra contiene, specie sul versante della politica industriale e delle misure per il Mezzogiorno.
Prima di tutto l’impianto complessivo. La manovra disinnesca le clausole di salvaguardia – che prevedevano aumenti IVA per ben 23 miliardi di euro – con un mix di revisione della spesa dei ministeri, taglio graduale dei cosiddetti sussidi ambientalmente dannosi, misure di contrasto dell’evasione fiscale e di razionalizzazione di alcune voci minori di entrata. Insomma niente “lacrime e sangue” ma guida attenta della macchina pubblica. L’effetto, a giudicare dall’andamento dei mercati in questi giorni, è la conferma della ritrovata fiducia sulla sostenibilità della nostra finanza pubblica. Ed è questo il primo fondamentale pilastro della manovra dal punto di vista del suo contributo a migliorare le prospettive dell’economia italiana: tenendo sotto controllo lo spread, riduce il costo del finanziamento per le imprese (credito alla produzione e investimenti) e per le famiglie (mutui casa e credito al consumo).
La flessibilità richiesta a Bruxelles (circa 15 miliardi) contribuisce per la metà a coprire il disinnesco delle clausole di salvaguardia e per l’altra metà a dare fiato a interventi di sostegno allo sviluppo e alle famiglie. Tra le seconde, la riduzione dell’Irpef sui lavoratori fino a 35 mila euro di reddito, l’intervento a sostegno delle famiglie con figli, e quello a sostegno dei disabili. Tra le prime – oltre ai nuovi stanziamenti per gli investimenti pubblici, dove peraltro il problema chiave è quello di far partire finalmente le opere già finanziate ma ancora bloccate – è positivo che l’attuale Governo stia riprendendo una linea di politica industriale che era invece rimasta sostanzialmente ferma nei quattordici mesi di Governo giallo-verde. Una linea che consiste di provvedimenti con effetto leva sugli investimenti privati, che quindi moltiplicano le ricadute sull’economia delle non molte risorse di bilancio disponibili.
Così, la manovra provvede a rifinanziare Industria 4.0 (iperammortamento, superammortamento, credito d’imposta per la formazione), a potenziare il Fondo centrale di garanzia per le PMI, a rifinanziare il credito d’imposta per gli investimenti al Sud. Sono misure importanti perché sostengono il rinnovamento tecnologico del tessuto produttivo italiano e spingono in direzione di un ampliamento del numero di imprese che, innovando, possono sbloccare la dinamica della produttività che è stato per anni il nostro tallone d’Achille.
In particolare, il credito d’imposta Sud, sommandosi a iperammortamento e superammortamento, estende al Mezzogiorno gli effetti positivi di Industria 4.0, rafforzando il recupero di competitività che l’industria meridionale ha fatto registrare negli ultimi anni. Come pure, per il Mezzogiorno, è molto importante il fatto che l’attuale Governo voglia ricostituire quel Fondo d’investimenti per la crescita dimensionale delle imprese meridionali, varato a fine passata legislatura, che serve ad affrontare con apporti di capitale di rischio e di finanziamenti a lungo termine uno dei problemi principali del tessuto produttivo del Sud, ossia la dimensione troppo ridotta delle sue imprese.
Certo, sono provvedimenti che da soli – e sulla base delle poche risorse rimaste a disposizione di una manovra ipotecata dalle clausole lasciate dalla precedente maggioranza – non sono sufficienti a dare una sterzata all’economia italiana, oggi ripiegata in una stagnazione frutto di una difficile congiuntura internazionale e dell’instabilità tutta nostrana innescata un anno fa dai comportamenti dei due alleati di Governo di allora. Ma sono provvedimenti che imboccano finalmente la strada giusta: si deve essere consapevoli che però è una strada ancora lunga e serviranno mano ferma e misure che rafforzino la direzione di marcia, fino a determinare la massa critica necessaria a imprimere la svolta di cui l’Italia ha bisogno.
Piuttosto, non vanno in questa direzione né la sbandata che ha portato a cancellare la sacrosanta norma che assicurava la certezza del diritto al management e ai quadri della ex-Ilva, né i vuoti nella gestione delle crisi aziendali come quelli che rischiano di condannare la Whirlpool di Napoli: una messa a punto forte dell’impostazione del Governo è qui assolutamente necessaria.
Articolo del 27 ottobre 2019 per il Corriere del Mezzogiorno