No a colpi di mano dell’azienda, ricostituzione immediata da parte del Governo della certezza normativa, riapertura del negoziato: poco più di due settimane per salvare sviluppo e risanamento ambientale a Taranto.
Per prima cosa, è inaccettabile la minaccia di Arcelor Mittal di avviare lo spegnimento degli altoforni Ilva: il contratto di affitto dice senza possibilità di equivoco che in caso di recesso gli impianti devono essere restituiti all’amministrazione straordinaria perfettamente funzionanti. Non solo, ma AM è tenuta a restituirli con la dotazione di materie prime necessaria ad alimentare gli altoforni: la società deve quindi procedere subito con gli ordini di materie prime necessarie, in modo che il 4 dicembre – data stabilita dalla multinazionale per la riconsegna del complesso Ilva ai commissari – gli impianti possano continuare a funzionare. Bene ha fatto perciò la Procura di Milano ad aprire un fascicolo sui comportamenti di AM in questa fase così delicata e cruciale per il futuro dell’Ilva. E bene fanno sindacati e lavoratori a vigilare sulla salvaguardia degli impianti.
La gravità della situazione e la scorrettezza dei comportamenti della multinazionale richiamano il Governo al dovere di fare immediatamente chiarezza al suo interno. Non c’è tempo da perdere: è necessario che l’esecutivo trovi finalmente quella capacità di governo dei processi e quella efficacia di proposta che fin qui sono mancate.
Al di là dell’evoluzione e degli sbocchi delle controversie legali, che hanno tempi diversi da quelli di una crisi industriale, per salvaguardare la tenuta produttiva dell’Ilva è indispensabile che il Governo metta rapidamente alle strette Arcelor Mittal. La strada è quella di reintrodurre subito l’immunità per chi applica l’autorizzazione integrata ambientale (AIA) in modo da ripristinare la certezza del diritto, vanificando la base stessa della richiesta di recesso di AM e indebolendone la posizione negoziale sia sul piano legale sia sul piano della possibilità per il Governo di attivare eventuali soluzioni imprenditoriali alternative (che senza la certezza delle regole non possono neanche emergere). A quel punto diviene possibile pretendere che la multinazionale chiarisca prima del 4 dicembre la sua scelta, così da riaprire una prospettiva diversa da quella della chiusura del più grande siderurgico d’Europa.
Dal punto di vista dell’interesse del nostro Paese, di quello dei lavoratori Ilva e di Taranto, la soluzione migliore è che Arcelor Mittal torni al tavolo negoziale e continui nel piano ambientale e nel piano industriale che sono alla base del contratto: la copertura dei parchi minerali è già a uno stadio molto avanzato e una volta completata eliminerà il rischio di diffusione delle polveri fuori dello stabilimento; come pure sono in corso di introduzione innovazioni fondamentali nel filtraggio delle emissioni. Ma per riprendere la strada interrotta è indispensabile – tanto più alla luce della crisi che nel frattempo ha colpito il mercato europeo dell’acciaio – ricostituire la fiducia nella correttezza e nella stabilità del quadro di regole entro il quale l’impresa è chiamata a svolgere la propria attività.
Naturalmente nulla impedisce di negoziare con l’impresa ulteriori miglioramenti del piano industriale e ambientale – peraltro già oggi il più avanzato in Europa – sapendo però che aver destabilizzato il quadro normativo rende più difficile, non più facile, un simile negoziato. Bisogna quindi risalire la china, ristabilendo prima di tutto la certezza del diritto per poter poi affrontare passaggi ulteriori.
Nel piano, per esempio, è previsto l’impegno di AM a studiare la possibilità in prospettiva di sperimentare, a fianco del ciclo integrale tradizionale ambientalmente risanato, anche altre tecnologie di produzione di acciaio primario, come quella basata sul cosiddetto preridotto con impiego di gas al posto del carbone. Si può allora discutere con l’azienda una accelerazione in questa direzione, aprendo un tavolo di confronto al quale l’azienda porti le sue conoscenze tecnologiche e le istituzioni si impegnino a costruire le condizioni di contesto che rendano economicamente sostenibile la tecnologia che verrà individuata. Senza addentrarmi qui nelle soluzioni tecniche, segnalo che il problema principale – ben noto agli esperti – sta nel differenziale di costo e in particolare nei prezzi di acquisto delle diverse fonti di energia. Si tratta allora di verificare se, grazie ai nuovi orientamenti della Commissione Europea, saranno resi disponibili strumenti e risorse in grado di ridurre i costi di tecnologie alternative.
Articolo del 17 novembre 2019 per il Corriere del Mezzogiorno