Taranto oggi: una città sospesa tra l’opprimente incertezza del domani e la voglia di costruirlo, il domani. Questa la sensazione che ho ricavato partecipando venerdì scorso all’incontro promosso dalla UIL su “Una nuova strategia per lo sviluppo” dell’area jonica: una realtà dolente ma dove le forze migliori, dal sindacato alle imprese, dal Comune all’Autorità portuale, mostrano concretezza e progettualità insieme. E mandano un messaggio al Governo per quello che viene oggi chiamato il Cantiere Taranto: per costruire il futuro si deve partire dalle risposte ai nodi aggrovigliati del presente.
Così, per cominciare, si deve partire dalla consapevolezza del rilievo che sul reddito dell’area ha il valore della produzione e del monte salari generato dallo stabilimento siderurgico più grande d’Europa e dal suo indotto. Non perché il futuro di Taranto possa schiacciarsi solo sull’Ilva, tutt’altro: Taranto ha bisogno di articolare il proprio sistema produttivo e occupazionale. Ma perché proprio questa articolazione richiede che le attività produttive attuali non siano sradicate in un tragico processo di desertificazione industriale. Quindi, la ripresa produttiva e il risanamento ambientale dell’Ilva è questione che non può essere messa in parentesi rispetto alla definizione di una strategia di sviluppo per l’area jonica: ne è parte integrante.
Così, ancora, il porto – grazie agli investimenti realizzati dal 2015 – è già oggi una realtà viva sia sul fronte del traffico merci che, da qualche tempo, anche su quello della crocieristica. Si tratta allora di sostenerne la crescita infrastrutturale e commerciale mettendo a regime la Zona economica speciale che farà gravitare sul porto di Taranto e sulla sua logistica attività agricole, industriali e turistiche di un’ampia area che tocca Puglia e Basilicata. Non solo: si tratta infatti anche di valorizzarne il ruolo di snodo fondamentale dell’asse europeo Nord-Sud di trasporti e logistica progettato dall’Unione, che andrà acquistando importanza crescente con lo sviluppo dei traffici nel Mediterraneo.
Per non parlare poi della ripresa di attività in corso nel settore della cantieristica grazie agli investimenti già programmati sull’Arsenale e della sua fruibilità turistica all’interno del percorso culturale che dovrebbe collegarlo ai tesori del Museo Archelogico rinnovato nel 2016. E delle potenzialità, come attrattore culturale e volano di attività economiche, della città vecchia con il suo tessuto di case e vicoli antichi: al riguardo si tratta di attuare quel piano di rigenerazione urbana che è stato predisposto e dotato di un consistente stanziamento di risorse sul finire della passata Legislatura.
Potrei continuare con gli esempi, dagli investimenti sulle strutture sanitarie a quelli sulla scuola, dalla ricerca all’università. In sintesi, non un futuro futuribile ma un futuro concreto è possibile per Taranto.
Per costruirlo serve altrettanta concretezza. Ben venga allora il Decreto che il Governo sta preparando sul Cantiere Taranto. Ma si eviti di ripetere l’errore compiuto con la Legge di bilancio dell’anno scorso, quando con l’istituzione di una “Commissione speciale” sovraordinata rispetto al Contratto istituzionale di sviluppo (CIS) si è dato luogo a una duplicazione di organismi e a uno svuotamento dei compiti operativi dei soggetti attuatori del CIS – il Responsabile del Nucleo tecnico e Invitalia – col risultato di bloccare il percorso di risanamento e rilancio di Taranto. Poche cifre testimoniano questo errore: nei primi due anni di attività del CIS – 2016/17 – erano stati spesi 260 milioni e avviati lavori per 490 milioni sugli 860 di dotazione iniziale, e quest’ultima era stata incrementata a 1 miliardo e 100 milioni; nei due anni successivi – 2018/19 – sono stati spesi 50 milioni e la dotazione complessiva è rimasta invariata.
C’è da augurarsi allora che il Decreto legge in preparazione – oltre a portare ulteriori risorse per l’area jonica – rimetta il Contratto istituzionale di sviluppo in grado di operare concretamente. Perché è stato proprio il CIS a dare veste operativa a quel cambio di prospettiva che da tanto tempo veniva invocato e di cui Taranto ha assoluto bisogno: non solo ripresa produttiva e occupazionale del siderurgico ma investimenti su rafforzamento infrastrutturale e articolazione produttiva dell’area jonica, risanamento ambientale e rigenerazione urbana, cultura e qualità della vita dei cittadini. E, per fare questo, il CIS coinvolgeva attivamente le istituzioni locali e le forze economiche e sociali del territorio. Che hanno molto da dire e da fare per costruire il loro domani.
Articolo del 26 gennaio 2020 per il Corriere del Mezzogiorno