Ben venga il Piano per il Sud presentato dal Governo venerdì scorso a Gioia Tauro: condivisibili le cinque missioni in cui esso si articola, coerente la mole di risorse da mobilitare attraverso la combinazione dei fondi nazionali ed europei disponibili, positiva la ripresa della strumentazione impostata nella passata legislatura e interessanti le indicazioni per ampliarla e rafforzarla, apprezzabile il tentativo di connettere obiettivi e strumenti in un quadro generale. Ora il problema è come passare dal disegno agli interventi necessari a darne concreta attuazione.
Le cinque missioni – scuola per dare futuro ai giovani, infrastrutture fisiche per connettere il Mezzogiorno e infrastrutture sociali per renderlo inclusivo, green deal per riqualificarne lo sviluppo produttivo, innovazione per stare sulla frontiera tecnologica, apertura alla nuova centralità del Mediterraneo – colgono le direttrici principali su cui indirizzare le risorse. E’ su queste direttrici che il Piano intende mettere a sistema i finanziamenti che sono disponibili tra Fondo sviluppo e coesione, Fondi strutturali europei e clausola del 34% (ossia in proporzione alla popolazione) degli stanziamenti ordinari in conto capitale: sommando queste voci si ottiene appunto la cifra di circa 120 miliardi di euro prospettata dal Governo.
La strumentazione che viene indicata dal Piano in parte riprende e in parte arricchisce quella avviata nella passata legislatura, evitando la cattiva abitudine spesso seguita nel nostro Paese di ricominciare sempre daccapo. Sul versante delle politiche industriali, vengono ripresi il credito d’imposta per gli investimenti al Sud, la decontribuzione per i nuovi assunti a tempo indeterminato, il sostegno ai giovani che fanno impresa con Resto al Sud. Su questa base si innestano ulteriori strumenti come un robusto credito d’imposta per gli investimenti delle imprese in ricerca e sviluppo e una più ampia decontribuzione per l’occupazione femminile. Viene inoltre ricostituito e potenziato il Fondo a sostegno delle imprese meridionali, che viene denominato “Cresci al Sud” e che affronta uno dei problemi principali della struttura produttiva del Mezzogiorno, ossia la troppo ridotta dimensione d’impresa.
Sul versante infrastrutturale, si riprendono i progetti strategici in materia ferroviaria e stradale e lo strumento delle Zone economiche speciali, che è decisivo per il ruolo del Meridione nel Mediterraneo e che si vuole giustamente irrobustire con misure di più drastica semplificazione procedurale e di maggiore incentivazione degli investimenti privati in logistica. Molto interessanti sono poi le indicazioni in materia di rigenerazione urbana e di valorizzazione delle ricchezze artistiche e paesaggistiche come attrattori di attività produttive nel campo culturale e turistico: viene sviluppata a questo riguardo la linea dei Contratti istituzionali di sviluppo – a cominciare da quello per Taranto – e dei Grandi Progetti sull’esempio di Pompei. Infine, importante e innovativa l’attenzione che il Piano riserva alla scuola e all’università per contrastare il fenomeno della povertà educativa e per sostenere i giovani meridionali nel loro percorso formativo.
Ora, come dicevo all’inizio, il problema è tradurre tutto questo in concrete realizzazioni. Non sono preoccupato tanto per l’attuazione delle misure di politica industriale: per fortuna sono basate su procedure sufficientemente semplici e automatiche che premiano direttamente le imprese che investono e creano lavoro nel Mezzogiorno. L’unico interrogativo qui è se in prospettiva si continueranno ad assicurare le risorse di bilancio necessarie a renderle strutturali, superando un orizzonte temporale ancora troppo contratto.
La preoccupazione principale, alla luce dell’esperienza passata, riguarda invece la capacità delle amministrazioni pubbliche di tradurre realmente in investimenti e servizi i fondi messi loro a disposizione. Il Piano propone un metodo di cooperazione rafforzata tra centro e amministrazioni locali, con un Comitato di indirizzo e un Piano nazionale di sviluppo e coesione per ognuna delle cinque missioni e un’azione di supporto alle amministrazioni titolari delle risorse da parte dell’Agenzia della coesione e di Invitalia: task force dedicate e qualificate stazioni appaltanti. E prevede che lo sblocco del turn-over delle amministrazioni decentrate sia indirizzato all’assunzione delle professionalità necessarie a gestire progettazione e attuazione degli investimenti.
E’ un approccio positivo, in cui il Governo centrale si assume le sue responsabilità e non si limita a trasferire risorse ad amministrazioni decentrate che in passato hanno faticato a utilizzarle in modo appropriato. Andrà affiancato però da un’azione più generale di semplificazione basata su una radicale potatura delle superfetazioni normative e amministrative che bloccano oggi gli investimenti pubblici.
Articolo del 16 febbraio 2020 per il Corriere del Mezzogiorno