Dopo l’accordo raggiunto al Consiglio Europeo del 23 aprile, il tema all’ordine del giorno consiste nelle cose da fare per la ripresa dell’intero Paese utilizzando le molte risorse messe a disposizione dalla UE. Da questo punto di vista non aiuta la proposta di ridurre la quota di investimenti destinata al Mezzogiorno che è stata avanzata in un suo recente documento – “L’Italia e la risposta al Covid-19” – dal Dipartimento per la programmazione e il coordinamento della politica economica (DIPE), la struttura della Presidenza del Consiglio che supporta le decisioni programmatorie del CIPE. Una proposta che palesemente contraddice il Piano per il Sud presentato due mesi fa dal Presidente Conte e dal Ministro Provenzano.
Il documento DIPE – un documento “di sintesi”, come recita la copertina – presenta in “sole” 149 pagine una sommatoria di materie e indicazioni slegate tra loro, che non si collocano in una coerente strategia di politica economica. Dulcis in fundo (pagine 129 e 130) arriva la proposta cui facevo riferimento: la sospensione della clausola di riequilibrio territoriale per gli stanziamenti ordinari in conto capitale (la cosiddetta clausola del 34%) e la riduzione della quota spettante alle aree meridionali nel Fondo sviluppo e coesione (FSC).
Ricordo al lettore che la clausola del 34%, introdotta dal Governo Gentiloni, ha la finalità di garantire al Mezzogiorno una quota sulla spesa per investimenti delle amministrazioni centrali proporzionale alla popolazione: quindi stessa spesa ordinaria pro-capite su tutto il territorio nazionale per la manutenzione e lo sviluppo delle infrastrutture. In questo modo, i Fondi strutturali europei e il Fondo sviluppo e coesione (nazionale) possono risultare realmente aggiuntivi rispetto agli stanziamenti ordinari e svolgere la funzione, che è loro propria, di sostenere il recupero e colmare il ritardo nella dotazione di infrastrutture e servizi che segna le aree meno sviluppate. Colpire la clausola del 34% e tagliare la quota del FSC significa rinunciare a perseguire politiche di investimento che sblocchino la crescita del Pil e della produttività nel Mezzogiorno, crescita che è interesse del Paese intero.
La proposta DIPE sembra motivata dal diverso impatto della pandemia al Nord rispetto al Sud. Ma in realtà, essa è semplicemente ingiustificata: la parte non ancora allocata dei Fondi strutturali 2014-20 che l’Europa ci consente di riprogrammare e la disponibilità ancora libera di risorse del Fondo sviluppo e coesione sono, senza bisogno di modificarne l’attuale ripartizione, più che sufficienti per sostenere in tutte le Regioni le spese oggi necessarie per strumenti e strutture sanitarie e per servizi sociali. E questa disponibilità di risorse potrà essere ulteriormente accresciuta utilizzando gli strumenti europei che saranno attivi già dal 1 giugno, in particolare il fondo SURE per le integrazioni di reddito ai lavoratori e il MES per le spese direttamente e indirettamente connesse all’emergenza sanitaria.
Al sostegno della ripresa produttiva post-coronavirus servirà poi accelerare la spesa della parte già allocata dei Fondi strutturali e del FSC, che nella loro attuale ripartizione sul territorio – concordata con la Commissione Europea e con le Regioni – tengono conto delle diverse dotazioni di infrastrutture e capacità produttive. Se la crisi sanitaria ha colpito più duramente il Nord, la crisi economica colpisce con uguale pesantezza tutto il Paese. Essa richiede quindi una risposta che sia coerente con le specifiche capacità di resilienza delle diverse aree: dove tale capacità è minore, come accade al Sud secondo le stime di tutti i centri di ricerca, serve un più forte sostegno agli investimenti pubblici e privati, ossia quanto prevede appunto la combinazione di regola del 34% e attuale ripartizione dei fondi di coesione. Piuttosto che cambiare quella regola e tagliare la quota sul FSC, è necessario pensare a utilizzare bene e in modo omogeneo sia al Nord che al Sud le risorse che l’Unione Europea metterà a disposizione attraverso la Banca Europea degli Investimenti e il Recovery Fund.
Infine, però, una parola chiara va detta sulla capacità delle istituzioni meridionali di utilizzare in modo efficiente ed efficace le risorse che vengono messe a disposizione e che, come ho chiarito, non possono e non devono essere tagliate. Come evidenziano le percentuali di spesa dei fondi strutturali da parte delle Regioni del Sud, quella capacità è oggi davvero inadeguata. E sappiamo per esperienza che se non si risolve questo problema non c’è ammontare di risorse che possa richiudere il divario con il Centro-Nord. Alle istituzioni meridionali perciò il dovere di un salto di qualità amministrativo e al Governo nazionale il compito di assicurare direzione, coordinamento e controllo forti di tutto il processo.
Articolo del 26 aprile 2020 per il Corriere del Mezzogiorno