Claudio De Vincenti e Tiziano Treu
La situazione difficilissima che tanti lavoratori stanno vivendo per la riduzione, in certi casi il crollo, dei loro redditi a causa della crisi indotta dal Covid-19 ha evidenziato le lacune del nostro sistema di ammortizzatori sociali: l’emergenza in atto ha messo sotto gli occhi di tutti la necessità di dare copertura a figure che finora non l’hanno avuta o l’hanno avuta solo in misura parziale e discontinua. Ne hanno preso atto in qualche modo i provvedimenti del Governo: dapprima, il decreto “Cura Italia” ha esteso la Cassa integrazione in deroga a tutti i lavoratori non coperti dalla CIG ordinaria e ha introdotto una indennità per i lavoratori autonomi; poi, il decreto “Rilancio” ha esteso questa indennità ai lavoratori stagionali, a quelli intermittenti e ai lavoratori domestici.
Sono interventi emergenziali, necessari, ma che rimandano a una questione più di fondo e che è ora di affrontare: costruire a regime una rete di assicurazione generale in grado di superare l’attuale frammentazione e tutelare tutti i lavoratori. L’impostazione da seguire è stata da noi presentata in un saggio dell’8 maggio scorso elaborato con un gruppo di lavoro della Fondazione Astrid e riprende, in forme nuove, una linea di pensiero che viene da lontano (il riferimento è alla Commissione Onofri di fine anni Novanta).
Si tratta di superare la frammentazione dell’assetto attuale e le sue sperequazioni costruendo un sistema che sia al tempo stesso generale e articolato, in grado cioè di coprire tutte le forme di lavoro con modalità mirate alle loro specifiche caratteristiche. Una semplificazione, in chiave universalistica, che risponde non solo a obiettivi di equità ma anche di efficienza e velocità di risposta alle situazioni di bisogno.
Per il lavoro dipendente la proposta prevede un Fondo obbligatorio, valido per i lavoratori di tutte le imprese – a qualsiasi settore appartengano, senza distinzione dimensionale e a prescindere dal tipo di contratto cui il lavoratore è legato – che intervenga in tutti i casi di sospensione del lavoro (per crisi di mercato o per ristrutturazione aziendale, intervalli tra occupazioni a termine, lavori stagionali o intermittenti) corrispondendo trattamenti relazionati alla retribuzione persa secondo regole uniformi.
Il Fondo andrà finanziato dai soggetti che hanno un interesse oggettivo alla sua realizzazione, quindi imprese e lavoratori con i relativi contributi, ma anche lo Stato, per il rilievo sociale ed economico di un simile meccanismo assicurativo. Le aliquote di contribuzione potranno essere differenziate in base a dimensioni aziendali o altri parametri, ma assicurando ai lavoratori prestazioni secondo regole uniformi.
Il Fondo corrisponderà trattamenti di integrazione salariale articolati su due componenti: una prestazione proporzionale alla retribuzione persa dal singolo lavoratore; una prestazione base, comune per tutte le situazioni di bisogno da mancanza di lavoro, che scatterebbe quando i contributi versati risultano insufficienti a garantire al lavoratore una integrazione pari all’ammontare della stessa prestazione base e che sarebbe condizionata solo a un minimo di contribuzione e di presenza nel sistema. L’apporto finanziario dello Stato al Fondo potrebbe coprire l’onere per la corresponsione della prestazione base.
E’ molto importante che la gestione sia dotata di una forte autonomia manageriale e responsabilità di bilancio attraverso una struttura dedicata, guidata da un autorevole organismo di amministrazione composto dalle tre parti finanziatrici (imprese, lavoratori, Stato), operante in equilibrio economico e sottoposta a controllo di gestione pubblico-privato. E sarebbe naturale affidare a questa struttura anche il compito di curare, sul versante delle garanzie di continuità del reddito, l’interazione con le politiche attive del lavoro, in particolare le attività di formazione e riqualificazione professionale lungo tutta la vita lavorativa delle persone. Così come sarebbe opportuno ricondurre sotto il Fondo anche i trattamenti di disoccupazione, in modo da farne il soggetto di riferimento per la tutela del lavoratore in tutte le situazioni di bisogno da mancanza di lavoro.
In questo quadro, i fondi bilaterali potrebbero svolgere un utile ruolo complementare, secondo il principio di sussidiarietà, prevedendo prestazioni integrative per quantità e durata definite su base negoziale e interamente finanziate dalle parti.
Infine, le nuove fragilità che il mondo del lavoro autonomo e delle professioni ha rivelato di fronte alla crisi spingono a completare il sistema con un ammortizzatore sociale dedicato a queste figure e che potrebbe trovare una sua collocazione nel Fondo attraverso una sezione distinta con contabilità separata. Pensiamo, in linea con recenti elaborazioni CNEL, a uno strumento di integrazione al reddito che sia finanziato da una specifica contribuzione obbligatoria, sia condizionato a una anzianità minima di iscrizione alla gestione previdenziale di riferimento e a una riduzione di reddito del lavoratore autonomo superiore a un certo valore percentuale rispetto alla media dei suoi redditi passati, copra una quota di tale differenza di reddito per una durata massima stabilita in coerenza con la funzione dell’istituto, cioè fronteggiare crisi impreviste e stimolare l’aggiornamento professionale del lavoratore.
Intervento su il Sole 24 Ore del 14 luglio 2020