Se vogliamo che la discussione sul Recovery Plan porti ai risultati di cui il Mezzogiorno ha bisogno, dobbiamo ricollocarla sul terreno del confronto nel merito della strategia europea, rifiutandoci di cadere nella trappola di un rivendicazionismo regionalistico che fa solo da alibi per evidenti inadeguatezze politiche e amministrative.
Il punto di partenza sta nei documenti della Commissione Europea. Prima di tutto gli obiettivi: “promuovere la coesione economica, sociale e territoriale dell’Unione migliorando la capacità di resilienza e aggiustamento degli Stati Membri, mitigando l’impatto sociale ed economico della crisi e sostenendo le transizioni verde e digitale … ricostituendo così il potenziale di crescita delle economie degli Stati Membri”. Quindi, la coesione passa per il sostegno alla ripresa del Paese nel suo insieme e per la trasformazione della sua economia in senso innovativo e sostenibile.
Non a caso, l’Unione individua lo Stato quale responsabile dell’attuazione della strategia e ad esso, non alle Regioni che ne fanno parte, assegna le risorse. Non solo ma la ripartizione della Recovery and Resilience Facility è calcolata, per ogni Paese, in base al confronto tra i suoi indicatori nazionali (popolazione, Pil pro-capite, tasso di disoccupazione) e la media europea: naturalmente, in ogni Paese quegli indicatori risentono dei divari tra Regioni, ma l’allocazione delle risorse non è fatta con riferimento a queste ultime. Ed è ancora al Governo nazionale che la Commissione chiede di costruire un Piano di ripresa e resilienza (PNRR) organizzato per missioni e programmi di cui lo Stato Membro deve “dimostrare la coerenza complessiva”. Di ogni programma andranno specificati obiettivi intermedi, obiettivi finali e tempi necessari a conseguire gli uni e gli altri: il loro rispetto sarà oggetto di verifiche semestrali alle quali sarà condizionata l’erogazione dei fondi.
L’approccio scelto dalla Commissione Europea esclude quindi la regionalizzazione delle risorse di Next Generation EU e non dà alcun appiglio alle rivendicazioni di specifiche percentuali che “spetterebbero” all’uno o all’altro territorio o, peggio ancora, all’una o all’altra amministrazione regionale. La coesione territoriale, come la coesione sociale, deve essere piuttosto – secondo l’impostazione della Commissione – un filo rosso che traversa tutte le missioni e i programmi di cui si comporrà il PNRR. Si coglie subito, per fare solo qualche esempio, che quando parliamo di transizione energetica il Mezzogiorno è il naturale candidato per molti degli investimenti in fonti rinnovabili e infrastrutture, così come lo è per quelli di risanamento delle reti idriche e per gli impianti necessari alla chiusura del ciclo rifiuti, o per l’alta velocità di rete e per la logistica integrata che colleghi i nostri porti ai mercati europei da una parte e ai traffici del Mediterraneo dall’altra, o ancora per l’edilizia scolastica o le strutture sanitarie.
E’ compito del Governo impostare il Piano in modo che il filo rosso della coesione sia tenuto ben saldo e visibile, così da unificare realmente il Paese contro i rivendicazionismi contrapposti che si annunciano. E su questo è giusto che il Governo sia chiamato a rendere conto: perché è interesse nazionale che il tessuto produttivo meridionale si irrobustisca in modo da rafforzare le filiere produttive che percorrono l’Italia da Nord a Sud, così come lo è una rete omogenea di servizi di cittadinanza, o ancora è interesse nazionale che il Mezzogiorno diventi piattaforma logistica e produttiva dell’Italia e dell’Europa verso il Sud e l’Est del mondo.
La necessaria capacità centrale di indirizzo e gestione del Piano non significa escludere un ruolo di Regioni e Comuni, all’opposto significa valorizzarlo per ciò che esso deve essere, liberandolo dalle pretese spartitorie che da tempo paralizzano il Paese e in particolare proprio il Meridione. Il compito delle istituzioni regionali e locali è duplice: far emergere le priorità delle loro comunità affinché esse entrino nella costruzione del Piano nazionale di ripresa e resilienza; saper dare effettiva realizzazione a quelle componenti dei programmi che spetterà a loro attuare. E’ su questo che a loro volta Regioni e Comuni saranno chiamati a rendere conto.
Qualche giorno fa, in un convegno organizzato dall’Associazione Merita e dall’Università della Campania Luigi Vanvitelli, è stata ripercorsa la storia della Cassa per il Mezzogiorno, traendone diverse lezioni importanti per le sfide di oggi. Soprattutto, l’esigenza di recuperare come stella polare del Recovery Plan l’ispirazione unitaria e nazionale che fu propria dell’intervento della Cassa. Coltivo questa speranza in vista di un 2021 che si prospetta molto impegnativo per l’Italia e per il Mezzogiorno.
Articolo del 20 dicembre 2020 per il Corriere del Mezzogiorno