Oh gran saggezza della Costituzione italiana! In tempi di rivendicazioni autonomistiche, i suoi articoli 116 e 119 dettano la cornice necessaria a mantenere il “regionalismo differenziato” sui binari del principio unificante della comune cittadinanza italiana: non possono esserci cittadini di serie A e cittadini di serie B, ma solo cittadini italiani, da Trieste a Palermo, da Torino a Bari. Le pre-intese raggiunte nel febbraio scorso tra il Governo Gentiloni e le Regioni Emilia Romagna, Lombardia e Veneto si muovono – come evidenziato in un recente seminario di Astrid – in questo quadro indicato dalla Carta. Si tratta di un primo passo, ma verso dove?
Cominciamo dalla cornice costituzionale. Comune cittadinanza italiana significa che tutti, indipendentemente dal luogo di residenza, devono in linea di principio godere di uguali diritti e ottemperare a uguali doveri. In termini di finanza pubblica questo significa parità di trattamento sul versante sia del fisco che della spesa: ognuno paga imposte in relazione alla sua capacità contributiva e gode di servizi e trasferimenti di bilancio in funzione dei suoi bisogni. E’ quanto il bilancio pubblico cerca oggi di approssimare, seppure con diverse imperfezioni e soprattutto con una eccessiva variabilità per quanto riguarda la qualità dei servizi (più bassa nel Mezzogiorno). Per semplificare: a parità di reddito, un ricco paga la stessa imposta (salvo le addizionali locali) a Milano come a Napoli e un povero riceve lo stesso sussidio a Milano come a Napoli. La conferma viene dalle statistiche regionalizzate: guardando al confronto tra Centro-Nord e Mezzogiorno, l’incidenza del prelievo fiscale sul Pil risulta sostanzialmente allineata e altrettanto la spesa pubblica primaria pro-capite (a rigore un po’ più alta al Centro-Nord che al Sud).
E’ quindi del tutto fuori luogo la polemica di tanti esponenti della Lega sui cosiddetti “residui fiscali” regionali (differenza tra imposte pagate dai residenti nella regione e spesa pubblica che vi affluisce): come chiarito dall’Ufficio Parlamentare di Bilancio, non sono i territori in quanto tali a pagare le imposte e a beneficiare della spesa, ma gli individui che vi risiedono; l’equità orizzontale vuole che individui nelle stesse condizioni siano trattati allo stesso modo; i “residui fiscali” sono semplicemente la conseguenza del fatto che cittadini in diverse condizioni economiche sono diversamente presenti nei vari territori.
L’articolo 116 della Costituzione, che prevede la possibilità di un ulteriore trasferimento di competenze in alcune materie nel rispetto dell’articolo 119 (coordinamento della finanza pubblica e perequazione interregionale da parte dello Stato), implica che il regionalismo differenziato deve realizzarsi nel rispetto dell’unitarietà del sistema di finanza pubblica, senza alterare la perequazione interregionale e i “residui fiscali”. Quindi, il trasferimento di competenze in capo alla Regione deve portare con sé semplicemente il trasferimento delle risorse che già oggi lo Stato spende per quelle competenze in quella Regione: starà all’amministrazione regionale dimostrare di essere in grado di svolgere in modo più efficace ed efficiente i compiti precedentemente assolti da quella centrale. Le pre-intese siglate dal precedente Governo poggiano su questa base costituzionale e riguardano l’organizzazione dei servizi in materia di politiche attive del lavoro, istruzione, università, ambiente, sanità.
Sta all’attuale Governo dare loro attuazione. Non sarà un processo facile: un ordinato trasferimento di competenze richiede una complessa riorganizzazione amministrativa che, se mal realizzata, potrebbe determinare un aggravio di oneri burocratici per cittadini e imprese. Evidentemente non tutti ne sono consapevoli: alcune delle Regioni firmatarie, e anche qualche esponente governativo, rivendicano un ampliamento ulteriore delle materie da trasferire, senza rendersi conto che in questo modo le difficoltà del processo aumenterebbero esponenzialmente. Si cominci dalle cinque materie individuate dalle pre-intese e si tenga ben monitorato il processo.
E il Mezzogiorno? Con l’esperienza dei Patti per il Sud si è impostato un rapporto nuovo tra Governo e Regioni, basato su una interazione forte tra autonomia regionale e azione di stimolo, sostegno e controllo del Governo. E’ una esperienza che può risultare molto utile per valutare punti di forza e di debolezza delle singole amministrazioni e su questa base definire le materie su cui possa essere opportuno ampliare le competenze regionali.
Articolo del 22 luglio 2018 per il Corriere del Mezzogiorno