Netta e chiara la recente sentenza della Corte Costituzionale sulla Legge della Regione Campania in materia di governo del territorio: accogliendo il ricorso presentato un anno fa dal Governo, la Consulta ne ha dichiarato incostituzionale la parte che prevedeva, nei confronti degli immobili abusivi acquisiti al patrimonio comunale a seguito della inottemperanza all’ordine di demolizione da parte del responsabile dell’abuso, la possibilità per i Comuni di procedere alla loro «locazione e alienazione […] anche con preferenza per gli occupanti per necessità», previa definizione di «parametri e criteri generali di valutazione del prevalente interesse pubblico rispetto alla demolizione». Il tema è delicato e complesso, perché è il campo di confronto e, in questo caso, di scontro tra due esigenze fondamentali per i cittadini: la tutela dell’ambiente e del paesaggio da una parte, la disponibilità di un’abitazione dall’altra. La sentenza della Corte costituisce un passaggio fondamentale che aiuta a cercare il sentiero stretto per gestire questo dilemma. Riassumo le conclusioni della Consulta.
La legge nazionale (Dpr 380 del 2001) dispone che, una volta acquisito al patrimonio comunale, l’immobile è destinato a essere demolito e le spese sono messe a carico del responsabile dell’abuso. Questa regola ammette una deroga quando con deliberazione del Consiglio comunale «si dichiari l’esistenza di prevalenti interessi pubblici e sempre che l’opera non contrasti con rilevanti interessi urbanistici, ambientali o di rispetto dell’assetto idrogeologico». La Corte argomenta come la demolizione dell’immobile e il ripristino dello stato dei luoghi costituisca principio fondamentale della normativa nazionale, cui un Comune può derogare solo in via eccezionale e con deliberazione consiliare riferita alla singola opera e non di valore generale.
Prevedere, come faceva la legge della Campania, che con propri atti regolamentari i comuni possano soprassedere all’obbligo di demolizione implica che locazione e alienazione siano considerati esiti «normali» verso cui indirizzare gli immobili abusivi acquisiti al patrimonio comunale: la disposizione risultava in contrasto con la legge nazionale violando così l’articolo 117, terzo comma della Costituzione, in materia di governo del territorio. Ne risultava inoltre diminuita l’efficacia deterrente del regime sanzionatorio della demolizione, tanto più che si consentiva la locazione e l’alienazione dell’immobile anche all’occupante responsabile dell’abuso.
I giudici della Corte hanno messo così un punto fermo. Sarebbe però sbagliato considerare irrilevanti le motivazioni all’origine dell’iniziativa regionale, in particolare la più importante dal punto di vista dell’interesse pubblico: il diffondersi dell’abusivismo nei decenni passati ha portato alla edificazione non regolata di ampie porzioni di territorio con abitazioni in cui oggi vive una quota significativa della popolazione; demolire questa massa di immobili significa scontrarsi con il fabbisogno abitativo di un numero molto elevato di famiglie. E’ qui il contrasto tra le due esigenze di cui parlavo all’inizio: la legge regionale era sbagliata per i motivi chiariti dalla Consulta, ma il problema esiste e chiede risposta.
Proverò a suggerire due primi spunti di riflessione che mi auguro possano aiutare a trovarla. Il punto di partenza dovrebbe essere che, quando un immobile abusivo viola la normativa in materia di tutela dell’ambiente e del paesaggio (la Legge Galasso) o quella in materia di rispetto dell’assetto idrogeologico, non può esserci alcuna deroga alla demolizione. E non basta a questo proposito il richiamo generico che anche la legge regionale faceva, serve una indicazione precisa delle norme nazionali che costituiscono confine invalicabile. Per gli immobili poi che, pur non toccando questi due ambiti normativi, sono comunque abusivi perché realizzati senza permesso edilizio, eventuali soluzioni devono comunque prefigurare lo sbocco finale della demolizione: escludendo in ogni caso l’alienazione – che precluderebbe del tutto una futura demolizione – e prevedendo l’obbligo per gli occupanti di pagare al Comune un canone di mercato maggiorato e di accettare la prima offerta abitativa equivalente rinvenuta sul mercato (per esempio da un’apposita agenzia comunale), cosicché una volta liberato l’immobile venga demolito. In ogni caso, la sentenza della Consulta ci obbliga a guardare al contrasto per quello che è, senza infingimenti e al tempo stesso senza facili concessioni.