In attesa che all’interno del Governo maturino le “intese” sulle misure del decreto cosiddetto “crescita”, le prime bozze disponibili evidenziano una tardiva ma comunque benvenuta marcia indietro dell’esecutivo che, di fronte alla recessione che incombe sull’economia italiana, si è deciso finalmente a ripristinare alcuni degli strumenti varati dai Governi della passata legislatura. Si tratta però di una riedizione solo parziale e inadeguata alla gravità della situazione economica e che parla assai poco al Mezzogiorno.
Al di là di una serie piuttosto variegata di interventi di dimensione e impatto minori, le tre misure principali – che correggono vistosamente la manovra approvata a dicembre – sono: la reintroduzione del superammortamento al 130% per gli investimenti delle imprese; la sostituzione della tanto sbandierata mini-Ires, di cui si confessa l’inefficacia, con la ripresa del percorso di riduzione generale dell’Ires sugli utili non distribuiti; la proroga del credito d’imposta per attività di ricerca e sviluppo.
Meglio tardi che mai, naturalmente. Ma la portata di questi interventi risulta nettamente depotenziata rispetto agli originali della passata legislatura. Così, il superammortamento non si applica agli investimenti eccedenti i 2 milioni e mezzo di euro. Non viene reintrodotto l’ACE (Aiuto alla crescita economica), che era il regime fiscale più significativo di incentivo alla capitalizzazione delle imprese e che era stato abrogato proprio per fare spazio alla inutile mini-Ires. L’aliquota del credito d’imposta per attività di ricerca e sviluppo resta ridotta al 25% come disposto dalla Legge di bilancio rispetto al 50% originario.
Per il Mezzogiorno, poi, c’è solo un aumento della dotazione per le Zone economiche speciali – positivo naturalmente ma, a parte la Zes campana, le altre che fine hanno fatto? – mentre non viene né prorogato né rifinanziato, dopo il taglio operato con la manovra di bilancio, lo strumento – il credito d’imposta Sud – che ha dato più frutti nel promuovere gli investimenti delle imprese nel Meridione e che conta per le prospettive di successo delle stesse Zes. Né vengono ripristinati i fondi di coesione caduti sotto la scure di dicembre. Infine, quello che viene indicato come lo sblocco degli investimenti idrici al Sud consiste semplicemente in una norma che perfeziona la riforma già varata dal Governo precedente per l’EIPLI (l’ente di approvvigionamento dell’acqua alle fonti di Basilicata e Irpinia): una messa a punto giusta, ma che non c’entra nulla con il titolo pomposo che le viene dato nella bozza di decreto.
L’inadeguatezza di queste misure risalta ancor più alla luce dell’analisi condotta da Confindustria e Cerved nel Rapporto PMI Mezzogiorno 2019 presentato a Cagliari una settimana fa. Nel triennio 2015-17, dopo anni di riduzione, il numero di piccole e medie imprese tra i 10 e i 250 dipendenti ha ripreso ad aumentare, con un “ripopolamento” del tessuto produttivo meridionale e con un aumento di fatturato e di valore aggiunto prodotto. La redditività però resta costante su livelli più bassi di quella delle analoghe imprese del Centro-Nord, risentendo di dimensioni aziendali inferiori che frenano la dinamica della produttività. E’ inoltre migliorata la loro sostenibilità finanziaria e creditizia, anche se resta anch’essa su livelli minori delle consorelle del resto d’Italia. Ma a partire dall’autunno 2018 il Rapporto evidenzia il susseguirsi di campanelli di allarme: peggioramento del merito di credito, aumento delle chiusure d’impresa, segnali evidenti di un rallentamento produttivo in corso e prospettico.
Un quadro quindi di luci e ombre che induce gli estensori a sollecitare interventi di politica economica incisivi: sostenere la nascita di nuove imprese con strumenti come Resto al Sud; promuoverne la crescita dimensionale favorendo iniezioni di capitale proprio; reintroduzione dell’ACE per rafforzare la capitalizzazione delle imprese; rifinanziamento e proroga – fino a renderlo struttuale – del credito d’imposta per investimenti al Sud; sostegno dell’attività di investimento con i fondi di coesione.
Il decreto “crescita” è davvero lontano da tutto ciò. Ma almeno stavolta la direzione di marcia timidamente imboccata è quella giusta. Speriamo allora che nel Governo facciano presto a “intendersi”, magari ripristinando anche altri strumenti varati nella passata legislatura e da loro cassati nella scriteriata manovra d’autunno. Del resto, con buona pace di Zaia e Fontana, l’italiano resta pur sempre la lingua comune a tutti noi, anche ai litigiosi soci dell’attuale maggioranza.