Chiaramente sbagliata la decisione, annunciata qualche giorno fa da Arcelor Mittal (AM), di Cassa integrazione ordinaria per 1.400 dipendenti dello stabilimento di Taranto. Apprezzabile invece la risposta sindacale, a un tempo ferma e aperta al confronto con l’azienda per il bene dei lavoratori, e quella del Sindaco, che richiama AM a una corretta relazione con la città. Latitante infine il Governo, come del resto accade da mesi per tutte le vertenze che fanno capo al Ministero dello sviluppo economico.
Decisione sbagliata quella di Arcelor Mittal: di fronte alle difficoltà di domanda che traversa il mercato europeo – sia per il rallentamento della Germania e la stagnazione produttiva dell’Italia, le due più grandi manifatture del continente, sia per l’aggiramento delle norme antidumping UE da parte dell’industria extraeuropea (in particolare turca e cinese) – l’azienda avrebbe dovuto avviare da tempo un confronto con i sindacati, chiarendo le difficoltà e i modi per ripartire le sospensioni temporanee dell’attività produttiva tra gli stabilimenti dei diversi Paesi.
Corretta la risposta dei sindacati, che rivendicano esattamente un confronto con AM su andamenti del mercato e modalità per fronteggiarli in modo da ridurre al minimo i costi per i lavoratori. Costruttiva la posizione assunta dal Sindaco, quando sottolinea come una impresa di tale rilevanza per il sistema territoriale deve saper entrare in sintonia con le ragioni dei tarantini, la qualità della loro vita e il futuro delle giovani generazioni.
Latitante il Governo, che dopo la cessione del complesso Ilva ad AM si è disinteressato dell’evoluzione successiva del processo di ambientalizzazione e rilancio del siderurgico e ancor più delle sorti della città e del territorio tarantino, al punto da essersi dimenticato per un anno di riconvocare il Tavolo di coordinamento del Contratto istituzionale di sviluppo per Taranto (che ha una dotazione di oltre un miliardo di euro assegnata dai precedenti Governi per bonifiche, infrastrutture e rigenerazione urbana).
Fin qui comunque tutto è ancora recuperabile, se i sindacati tengono dritta la barra della trattativa e AM riesce finalmente ad aprirsi al confronto. Una trattativa e un confronto che hanno bisogno però di un contesto politico e istituzionale volto costantemente a cercare soluzioni per il bene dei lavoratori e della città.
Una volontà costruttiva che purtroppo non tutti gli attori istituzionali stanno mettendo in campo. Non parlo tanto delle sgangherate dichiarazioni del Presidente della Regione Puglia, che per motivi imperscrutabili ha sempre puntato a far saltare l’operazione di rinascita ambientale e produttiva dello stabilimento di Taranto. Ma delle ambiguità del Governo, stretto nelle sue stesse contraddizioni tra responsabilità per il futuro produttivo e occupazionale del siderurgico ed estremismo ideologico e moralista contro l’attività d’impresa.
Due le principali questioni sul tappeto, la procedura di riesame dell’Autorizzazione integrata ambientale (AIA) disposta dal Ministero dell’ambiente e la norma del decreto cosiddetto “crescita” che, ove approvata, renderebbe perseguibili penalmente le condotte applicative del Piano ambientale.
La prima può avere sbocchi diversi: dalla conferma delle prescrizioni già varate (le più avanzate in Europa), a modifiche concordate con l’azienda e compatibili con gli obiettivi produttivi e occupazionali stabiliti nel contratto di acquisto dell’Ilva da parte di AM, fino a stravolgimenti che rischierebbero di compromettere tout court l’attività produttiva. La partita è tutta aperta e sta a istituzioni e azienda individuare il punto di equilibrio coerente con il disegno strategico di risanamento ambientale e rilancio produttivo dello stabilimento di Taranto.
La norma del decreto “crescita” a sua volta determina, per come è uscita dal Consiglio dei ministri, un singolare “comma 22”: il management che realizza il Piano di risanamento ambientale previsto dall’AIA sarebbe perseguibile penalmente per le azioni che a questo scopo mette in atto e alle quali è tenuto per obbligo di legge! Sia chiaro che, contrariamente a quanto affermato dalla demagogia populista delle attuali forze di maggioranza, in base alla norma varata nella precedente legislatura il management resta comunque responsabile per eventuali comportamenti in violazione dell’AIA. La novità del decreto legge in discussione è che diventerebbero perseguibili anche i comportamenti dettati dalla legge: un vero obbrobrio giuridico che affosserebbe il processo di risanamento ambientale.
Uscire dal “comma 22” e adottare un’AIA coerente con la rinascita ambientale e produttiva di Taranto: oggi più che mai è l’ora della responsabilità verso lavoratori e cittadini.