La scuola è lo strumento principale per realizzare uguaglianza delle opportunità tra i cittadini e promozione sociale dei più svantaggiati. E allora, proprio per il bene dei giovani meridionali, è urgente guardare senza veli alla situazione dell’istruzione nelle Regioni del Sud: il confronto tra votazioni riportate nell’ultima tornata degli esami di maturità e risultati delle prove di valutazione Invalsi è purtroppo impietoso e imbarazzante.
A fronte di risultati fortemente negativi dei test Invalsi in Campania e Puglia, in queste stesse due Regioni si conta, rispetto alla Lombardia, un numero più che doppio di studenti diplomati con lode, sebbene la loro popolazione scolastica sia nettamente meno numerosa di quella lombarda. E sproporzioni di segno analogo, anche se meno vistose, si registrano per le altre Regioni del Mezzogiorno, con la sola eccezione della Sardegna.
La domanda (retorica) è se siano più affidabili i risultati di una rilevazione condotta con identica metodologia su tutto il territorio nazionale o i voti assegnati da commissioni di esame composte prevalentemente da membri interni a ogni istituto. Si può naturalmente discutere dei limiti delle prove Invalsi, ma come ha sottolineato Maurizio de Giovanni su questo giornale, l’omogeneità dei criteri di valutazione evidenzia comunque i divari di preparazione tra le diverse aree del Paese ed è necessario prenderne atto senza infingimenti.
Del resto, il Rapporto nazionale Invalsi sottolinea bene la correlazione statistica tra livelli di preparazione e condizioni economiche, sociali e culturali delle famiglie di provenienza degli studenti. Questo non significa naturalmente che non sia possibile per un ragazzo di famiglia disagiata ottenere ottimi risultati scolastici, tutt’altro e ce lo segnalano diversi esempi positivi. Significa però che le condizioni di partenza pesano sfavorevolmente e spiegano in parte il risultato complessivo che vede le Regioni meridionali caratterizzate da performances scolastiche decisamente peggiori di quelle del Centro-Nord.
Ma solo in parte. In realtà qualcosa non va nell’organizzazione e nei percorsi didattici. Il fatto è che, come le prove Invalsi rivelano, il divario tra i livelli di istruzione nel Mezzogiorno e nel Centro-Nord va ampliandosi lungo il corso stesso degli studi. Così, mentre nei primi anni della scuola elementare i livelli di apprendimento sono sostanzialmente simili tra bambini del Sud e del Nord, essi vanno divaricandosi a partire dalla fine delle elementari fino a raggiungere differenze molto pesanti al termine della scuola secondaria superiore. E se possiamo discutere le specifiche quantificazioni del fenomeno, comunque non possiamo chiudere gli occhi di fronte alla sua evidenza e alle conseguenze negative che ne derivano per i giovani meridionali. Anche per questo, è un fatto molto negativo che i voti di esame siano così implausibimente lontani da questa realtà dolorosa: per un verso non aiuta a prenderne coscienza e, per altro verso, dequalifica i diplomi conseguiti dai giovani del Sud penalizzandoli sul mercato del lavoro.
Tutto ciò significa che – come sottolinea il Rapporto – la scuola oggi non svolge come dovrebbe il compito democratico fondamentale di consentire a tutti, indipendentemente dalle condizioni economiche e sociali di partenza, di “sviluppare pienamente il proprio potenziale sulla base unicamente delle proprie capacità e dei propri sforzi”.
Intervenire e intervenire subito dunque, sapendo che sarà un lavoro lungo e impegnativo ma indispensabile. A cominciare dai servizi educativi pre-scolari – nidi e servizi di sostegno alle famiglie in condizioni più disagiate – perché molto del destino di ogni bambino e di ogni ragazzo si gioca proprio nella prima infanzia, nella possibilità o meno di vivere da subito relazioni che lo sostengano nel processo di crescita educativa e sociale. Per continuare poi superando resistenze burocratiche e consuetudini sociali per generalizzare il tempo pieno nelle scuole elementari e medie, riqualificare e potenziare gli istituti tecnici, contrastare i meccanismi che determinano una ineguale distribuzione degli studenti tra scuole e tra classi in base alle condizioni della famiglia di provenienza. E ritornando a esami di Stato con commissioni formate in misura almeno paritaria da membri esterni provenienti da altre Regioni, come si faceva in passato, a garanzia della omogeneità dei criteri di voto e quindi della reale equivalenza dei diplomi su tutto il territorio nazionale.
E’ un dovere che abbiamo verso le ragazze e i ragazzi del Sud di oggi e di domani: dare vita a una scuola che li metta finalmente in condizioni di parità con i loro coetanei del Centro e del Nord e li aiuti a costruire il proprio futuro.