E’ necessario reagire al piano inclinato lungo il quale, già da molto prima dello shock pandemico, l’Italia rischia il declino economico e sociale. E’ possibile reagire, facendo leva sulle energie positive che, da Nord a Sud, rappresentano il nerbo vitale del Paese. E’ doveroso reagire, costruendo un programma di “conversione” delle istituzioni, dell’economia e della società. Questo il messaggio che sta al cuore di Italia 2030. Proposte per lo sviluppo (La nave di Teseo, giugno 2020), lo studio realizzato per Assolombarda da un gruppo di economisti, giuristi e sociologi coordinato da Marcello Messori e presentato qualche giorno fa dal nuovo Presidente di Confindustria.
Il punto di partenza dell’analisi è il “dilemma diabolico” in cui l’Italia si trova oggi, nella crisi indotta dal Covid-19: nell’immediato è necessaria una politica di bilancio fortemente espansiva per arginare l’emergenza economico-sociale ed evitare danni irreparabili al tessuto produttivo del Paese; ma “la conseguente impennata” del disavanzo di bilancio aumenta in prospettiva i problemi di sostenibilità del nostro “già abnorme” debito pubblico in rapporto al Pil.
Il dilemma di oggi è il portato di una storia che viene da lontano, fatta di ristagno della produttività complessiva del sistema economico, di insufficienti investimenti privati e di declinanti investimenti pubblici, di inefficienze delle pubbliche amministrazioni, di crescenti divari sociali e territoriali, a cominciare dal Mezzogiorno. Una storia che, una volta esauritosi negli anni Ottanta lo sforzo collettivo della ricostruzione postbellica, ha visto diffondersi posizioni di rendita, incrinarsi la coesione sociale, affermarsi una concezione individualistica della società. Con il risvolto, sul versante politico, della crisi dei partiti e dei corpi intermedi e del prevalere di leadership personali.
Reagire a questa deriva è ormai necessario e urgente, se si vuole evitare l’avvitarsi del nostro Paese in una crisi economica e sociale che può diventare drammatica. E per fortuna “reagire è possibile”: come la ripresa, pur insufficiente, del triennio 2015-17 testimonia, vi sono componenti del sistema imprenditoriale italiano – private e a partecipazione pubblica – che competono “sulle frontiere internazionali dell’innovazione”, territori con attività industriali e di servizio integrate e dinamiche, aree urbane tra le più avanzate in Europa, importanti eccellenze produttive e tecnologiche nel Mezzogiorno, performance ambientali che collocano l’Italia tra i Paesi virtuosi dell’UE, realtà di ricerca e sviluppo all’avanguardia, alcune localizzate nel Meridione.
Si tratta allora di uscire dal “dilemma diabolico” utilizzando le molte risorse che la nuova strategia europea sta mettendo a disposizione del nostro Paese per una politica di investimenti pubblici e di sostegno agli investimenti privati che valorizzi le energie vive della società italiana, rimuova le posizioni di rendita, recuperi i divari territoriali, costruisca le condizioni per una dinamica della produttività di sistema e per una crescita del Pil che assicurino sostenibilità prospettica al nostro debito pubblico.
Le politiche economiche e sociali necessarie a questo scopo sono articolate e complesse e la loro realizzazione, questo il tema con cui si chiude lo studio promosso da Assolombarda, non può essere affidata a forme di rappresentanza “basate su leadership personali e sull’emarginazione del ruolo delle istituzioni e dei corpi intermedi”. E’ necessario invece costruire una “democrazia negoziale” che dia spazio proprio a istituzioni e corpi intermedi perché maggiormente “in grado di cogliere le drammatiche trasformazioni in atto”.
E’ una conclusione, questa, che ha il merito di proporre una assunzione di responsabilità da parte delle forze economiche e sociali nel nome dell’interesse generale del Paese. E sono convinto che sia un passaggio essenziale per riaprire una prospettiva di sviluppo economico e sociale. Trovo però, proprio per questo, stranamente riduttiva l’espressione “democrazia negoziale”, che sembra implicare ciò che in realtà la proposta avanzata in Italia 2030 vorrebbe giustamente evitare: il configurarsi, come troppo spesso è accaduto in passato, dei corpi intermedi come meri “gruppi di interesse” da comporre in equilibri contrattuali che, di per sé, non necessariamente risultano coerenti con un disegno più generale di promozione del bene comune.
Il tema esige allora uno sviluppo ulteriore: quella assunzione di responsabilità da parte delle forze economiche e sociali e la sacrosanta richiesta di ascolto dei corpi intermedi impongono in realtà alla politica di non limitarsi a “negoziare” tra interessi diversi, ma di saperli capire e ricomprendere in un quadro più avanzato in cui tutti possano riconoscersi nel nome dell’interesse generale.
Articolo del 5 luglio 2020 per il Corriere del Mezzogiorno