Interventi
29 July 2018

Il futuro dell’automotive meridionale con motori diesel e modelli “premium”

Citando Hemingway all’incontro con gli operatori finanziari, il 1 giugno a Balocco Sergio Marchionne così sintetizzava lo spirito che ha animato la rinascita di Fiat prima e lo sviluppo di FCA poi: “Non c’è nulla di nobile nell’essere superiore ai tuoi compagni; la vera nobiltà sta nell’essere superiore a come tu stesso eri prima”. E

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Citando Hemingway all’incontro con gli operatori finanziari, il 1 giugno a Balocco Sergio Marchionne così sintetizzava lo spirito che ha animato la rinascita di Fiat prima e lo sviluppo di FCA poi: “Non c’è nulla di nobile nell’essere superiore ai tuoi compagni; la vera nobiltà sta nell’essere superiore a come tu stesso eri prima”. E non c’è dubbio che il confronto tra la FCA di oggi e le condizioni drammatiche di Fiat nel 2004 e Chrysler nel 2009 sia la miglior prova del percorso compiuto.

Come si sono collocati l’Italia e il Mezzogiorno in questo percorso? All’inizio degli anni 2000 si era ormai esaurita la strategia seguita da Fiat dal dopoguerra in poi: modelli di segmento basso, competitività di costo, sostegno pubblico tramite aiuti agli investimenti nel Sud e ostacoli all’insediamento di altri produttori in Italia. L’arrivo su quello stesso segmento di mercato dei prodotti di nuovi concorrenti nell’ultimo ventennio del Novecento e il presidio dell’alta gamma da parte delle altre case automobilistiche europee schiacciavano inesorabilmente lo spazio per Fiat. Marchionne ha risposto avviando un nuovo corso: miglioramento tecnologico delle auto di segmento basso e medio, scontando una competitività minore sul prezzo ma maggiore sulla qualità; spostamento via via sul segmento medio-alto e alto, valorizzando in particolare i marchi Alfa Romeo e Maserati; investimento tecnologico nel settore dei veicoli commerciali; rinuncia ad aiuti pubblici (ma ricorso ampio agli ammortizzatori sociali). La storia successiva, con l’acquisizione di Chrysler e l’internazionalizzazione del Gruppo, ha reso sostenibile le scelte fatte in Italia e ha confermato la nuova strategia, fino al piano industriale presentato a Balocco.

Certo il percorso non è stato privo di passaggi difficili e anche traumatici. Prima della ripresa delle produzioni italiane, la Fiat ha vissuto una fase lunga di cali produttivi e di ridimensionamenti e chiusure di stabilimenti, come sanno bene nel Mezzogiorno i lavoratori di Termini Imerese e di Valle Ufita. Tre i versanti di maggior sofferenza.

Il primo, l’ho appena accennato, è quello dei siti dismessi: un confronto difficile e a volte duro nel periodo 2011-15 tra Governo, Fiat e sindacati ai tavoli di crisi del Ministero dello sviluppo economico. L’impegno delle istituzioni ha consentito di limitare i costi sociali delle chiusure e di avviare faticosi ma ancora incerti processi di reindustrializzazione. Il secondo è quello della trasformazione che ha dovuto realizzare la filiera della componentistica: colpita all’inizio dalla caduta dei volumi Fiat, ha saputo riorganizzarsi, differenziando i committenti e proiettandosi sul mercato europeo, producendo innovazione tecnologica, facendosi poi trovare pronta, anche nel Sud, al risveglio delle produzioni FCA.

Il terzo versante è quello delle relazioni sindacali: l’automazione che ha modificato radicalmente linee produttive e ambiente di lavoro richiedeva una nuova organizzazione di fabbrica basata sul lavoro in squadra e sul controllo della squadra sui processi automatizzati. Solo una parte del sindacato – FIM e UILM – ha raccolto la sfida, l’altra – la FIOM – si è arroccata purtroppo su una linea puramente difensiva.

Oggi gli stabilimenti italiani sono inseriti in un Gruppo internazionalizzato, con loro peculiarità che ne spiegano la ripresa negli ultimi anni e ne delineano la possibile prospettiva: gamma alta e medio-alta a Mirafiori, Grugliasco e Cassino (con Maserati e Alfa Romeo); SUV (Jeep) e city car (500x) a Melfi; city car (Panda) a Pomigliano, oggi in attesa di essere sostituita da una vettura premium; veicoli commerciali di grande diffusione (Ducato) ad Atessa; componentistica e motori in stabilimenti FCA presenti in Campania, Puglia, Abruzzo, Basilicata. E con sviluppo di nuove tecnologie per la riduzione delle emissioni (elettrico e metano) e per la guida assistita (vedi da ultimo accordo di programma in Abruzzo e centro di formazione in Basilicata).

Sostanzialmente bene dunque, ma nulla è scontato. Oltre al rafforzamento non semplice dell’offerta di Alfa Romeo e Maserati, i nodi da sciogliere – particolarmente importanti per il nostro Mezzogiorno – riguardano la riconversione prospettica delle linee produttive di motori diesel e il ruolo nella produzione di modelli premium. Più in generale, al nuovo management è doveroso chiedere sia la conferma di una cultura di impresa che si misura con la frontiera dell’innovazione che del suo rapporto con il patrimonio di competenze e di creatività del nostro Paese.

Articolo del 29 luglio 2018 per il Corriere del Mezzogiorno

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