Con la difficile mediazione che ha concluso i suoi lavori, la COP26 di Glasgow ci ha messo di fronte alla complessità della fase che stiamo traversando, segnata dalla tensione tra la consapevolezza di quanto sia urgente accelerare l’azione di contrasto al cambiamento climatico e le difficoltà a individuare una strategia che renda tecnologicamente realistici ed economicamente sostenibili gli obiettivi di de-carbonizzazione. Una tensione che ha percorso la Conferenza anche al di là del contrasto tra il bisogno di crescita accelerata dei Paesi emergenti e la sensibilità ambientale dei Paesi avanzati, condizionando la stessa capacità di questi ultimi di indicare soluzioni in grado di raccogliere un consenso ampio e convinto.
Se dunque Glasgow ha segnato un passo avanti molto importante nel raggiungere l’accordo di tutti sull’obiettivo di limitare a 1,5°C l’incremento della temperatura media globale rispetto all’era preindustriale e di ridurre le emissioni di CO2 del 45% nel 2030 rispetto al 2010, ha poi dovuto scontare la dicitura generica “intorno alla metà del secolo” per l’obiettivo di zero emissioni e la “riduzione” invece che “l’uscita” dal carbone nella generazione elettrica per i prossimi anni.
Del resto, anche nell’Unione Europea, l’area oggi più avanzata nell’impegno ambientale, sta emergendo una maggiore problematicità rispetto ad alcune semplificazioni dei mesi scorsi, dettate dall’esigenza peraltro condivisibile di forzare un cambio di passo nella lotta al cambiamento climatico. Il vero problema che sta davanti all’Unione, questa la nostra convinzione, non è però quello di rinviare gli obiettivi di riduzione delle emissioni rallentando il percorso della de-carbonizzazione, ma è quello degli strumenti con cui rendere realmente consegubili proprio quegli obiettivi.
Per individuare una soluzione – che, per per quanto detto sopra, aiuterebbe ad aprire una strada utile anche su scala globale – occorre uscire da forzature ideologiche e vagliare in modo laico le opzioni che oggi scienza e tecnologia ci offrono, nonché promuovere la ricerca di soluzioni ulteriori e sempre più avanzate. E’ questo il metodo di lavoro che caratterizza il ciclo di seminari sulla transizione energetica che da un anno e mezzo organizziamo come Associazione Merita e Fondazione Matching Energies, insieme con i principali player industriali del settore, e che colloca nel quadro della strategia europea anche il ruolo del nostro Paese e del suo Mezzogiorno.
Il primo nodo da sciogliere è quello dell’accelerazione sul fronte delle energie rinnovabili. A questo scopo abbiamo bisogno di investimenti molto rilevanti su più versanti: impianti che ne aumentino la produzione, infrastrutture di trasmissione e distribuzione e sistemi di accumulo che ne consentano l’ingresso ordinato in rete, evoluzione tecnologica nelle possibilità di utilizzo dell’energia elettrica.
Il nostro Paese presenta un problema specifico che frena gli investimenti anche in questo campo, quello del blocco delle autorizzazioni verificatosi negli ultimi tre anni: con i ritmi attuali gli obiettivi europei sono semplicemente irraggiungibili. Il decreto semplificazioni dell’estate scorsa ha introdotto correttivi importanti che vanno ulteriormente rafforzati. Ma vi sono altri due problemi più generali, non limitati al nostro Paese, che al momento determinano limiti alla quota di consumi energetici da rinnovabili: l’impatto paesaggistico degli impianti e le difficoltà nel convertire alcuni settori all’uso dell’energia elettrica. A questo riguardo dobbiamo scontare almeno per il breve e medio periodo limiti rilevanti di utilizzo in diversi settori dell’industria e del trasporto, specie pesante su strada e ancor più marittimo e aereo.
In prospettiva un ruolo potrebbe giocarlo l’idrogeno come vettore energetico in grado di conservare e trasportare energia e di alimentare attività industriali e di trasporto. La Commissione Europea ha lanciato un programma di ricerca e sviluppo sull’idrogeno e l’Italia deve saperne diventare protagonista. Si tratta di promuovere la sperimentazione in progetti pilota e di lavorare sulla possibilità di convertire un domani le reti gas in reti idrogeno.
Rinnovabili e idrogeno sono dunque i driver di prospettiva, ma a oggi sembra molto improbabile che da soli consentano di raggiungere l’obiettivo europeo di riduzione del 55% delle emissioni al 2030. A questo scopo serve perciò una forte accelerazione nei processi di sostituzione di carbone e petrolio con il gas naturale, in quanto combustibile fossile ad emissioni molto inferiori. E’ quindi il gas il terzo perno necessario alla strategia europea, nella fase di transizione, per conseguire i suoi obiettivi. E dunque sulla strada della de-carbonizzazione un ruolo fondamentale spetta anche agli investimenti in infrastrutture per il suo trasporto e per la diversificazione e la sicurezza delle forniture.
Last but not least, ma non vi è qui lo spazio per affrontare anche questo tema, l’Europa – e l’Italia in particolare – possono e debbono svolgere un ruolo leader sul fronte dell’efficienza energetica.
In chiusura, ci sia consentito di rilevare come su tutti e tre i terreni sopra richiamati il Mezzogiorno d’Italia possa e debba svolgere un ruolo chiave: per la produzione di rinnovabili, per la sperimentazione dell’idrogeno in aree industriali da riconvertire, per le interconnessioni elettriche e del gas tra l’Europa e il bacino del Mediterraneo.
Claudio De Vincenti e Marco Zigon