Sullo sfondo generale di incertezza economica e sociale dovuta al perdurare della pandemia, si stagliano con le loro specifiche difficoltà le crisi aziendali – prime fra tutte Ilva e Whirlpool – che la sostanziale inazione degli ultimi due Governi sul terreno della politica industriale ha finito per rendere sempre più aggrovigliate. Oggi, con una nuova irruzione della magistratura nella vicenda Ilva e l’incombere a fine marzo dei licenziamenti sui lavoratori Whirlpool, i nodi vengono al pettine e investono il Governo Draghi già all’indomani del suo insediamento.
La sentenza con cui il TAR di Lecce ha dato il via libera – a quasi un anno di distanza – all’ordinanza del Sindaco di Taranto, che impone alla ex-Ilva lo spegnimento dell’area a caldo, e la richiesta di confisca degli impianti del siderurgico avanzata dal Pubblico Ministero del processo “Ambiente Svenduto”, introducono elementi di grave incertezza riguardo al futuro dello stabilimento. Sono fattori che costituiscono ostacoli oggettivi sulla strada del possibile impegno di qualsiasi soggetto imprenditoriale, privato o pubblico che sia, a investire per il rilancio produttivo e il risanamento ambientale del sito di Taranto.
Sono elementi di incertezza che si aggiungono a quelli dovuti alla demolizione del sistema di regole inaugurata dal Governo gialloverde con la revisione dell’Autorizzazione integrata ambientale avviata nell’aprile 2019, e mai conclusa, e con la cancellazione della norma che evitava che potesse essere perseguito penalmente il management impegnato nell’applicazione dell’AIA, cioè della legge. Né quell’opera di demolizione ha mai trovato correzione da parte del Governo giallorosso. Ed è preoccupante che l’acme dell’incertezza venga raggiunto proprio alla vigilia dell’ingresso di Invitalia, e quindi del capitale pubblico, nella compagine azionaria della ex-Ilva.
Sta ora al Governo Draghi tentare di dipanare la matassa aggrovigliatasi negli ultimi due anni, ricostituendo il quadro di regole necessario a dare certezza alle scelte e alle azioni che – qualsiasi esse siano – si deciderà di adottare per il futuro dello stabilimento. Se la scelta sarà – come ritengo sia nell’interesse del territorio tarantino, del
Mezzogiorno e del nostro Paese – quella di puntare sull’obiettivo di coniugare lavoro, ambiente e salute, allora è urgente che il Piano industriale e ambientale alla base dell’ingresso di Invitalia venga chiarito non solo nelle sue coordinate generali ma in tutte le sue articolazioni, nelle risorse che verranno messe in campo e nella tempistica di attuazione. E venga, nel caso, messo a confronto con eventuali piani alternativi che però, per essere presi in considerazione, devono possedere caratteristiche equivalenti di realismo, sostenibilità finanziaria e risultati ambientali e occupazionali.
A sua volta, la vicenda Whirlpool sta a segnalare che, quando si ha a che fare con una crisi aziendale, non c’è artificio comunicativo e demagogico che possa sostituire l’azione seria e metodica volta a predisporre le condizioni per una soluzione concreta. Quando, nella primavera 2019, l’azienda comunicò l’intenzione di chiudere la produzione di lavatrici nel sito di via Argine, il Governo di allora si limitò a fare la “voce grossa” e a sposare nel negoziato la posizione sindacale “o lavatrici o niente”, una posizione purtroppo miope e senza sbocco di fronte alla rigidità della multinazionale americana. Si rinunciò così a incalzare l’azienda affinché si impegnasse in quella diversificazione produttiva e in quel coinvolgimento di altri imprenditori cui a suo tempo si era dichiarata disponibile. Né poi si è mai corretto il tiro neanche con il Governo successivo. Il risultato drammatico è davanti ai nostri occhi: attività produttiva ormai ferma, 420 lavoratori a rischio e con essi un sito produttivo importante per tutto il territorio.
Non sarà ora facile per il nuovo Governo riannodare i fili del confronto e del negoziato. Ma è assolutamente necessario: la solidarietà vera, non di facciata, con i lavoratori Whirlpool consiste nel tentatvio concreto di individuare una soluzione imprenditoriale capace di stare sul mercato e di offrire quindi solide prospettive di occupazione produttiva. E sta nel predisporre politiche di formazione e riqualificazione coerenti con questa prospettiva. Non è detto purtroppo che si riesca a trovare la soluzione, e in tal caso bisognerà assicurare ai lavoratori Whirlpool come a quelli di altre aziende in crisi un sistema di ammortizzatori sociali finalmente adeguato a favorire il ricollocamento.
Una cosa oggi sappiamo bene: c’è assoluto bisogno di una politica industriale e di una politica attiva del lavoro, senza la pretesa impotente di forzare il mercato ma con la determinazione fattiva a guidarlo.
Articolo del 21 febbraio 2021 per il Corriere del Mezzogiorno