Carissimi lettori, con l’articolo di oggi prendo congedo da questa rubrica domenicale che la gentilezza del Direttore Enzo d’Errico ha voluto affidarmi quasi tre anni fa, riservandole lo spazio che era stato di Giuseppe Galasso fino alla sua scomparsa: un onore che spero di non aver troppo demeritato.
Un nuovo incarico di rilevanza pubblica assorbirà d’ora in avanti molte delle mie energie e molto del mio tempo, non consentendomi di continuare a dedicarmi con la dovuta regolarità a questo appuntamento settimanale con voi. Continuerò comunque a proporvi, seppure con una tempistica meno serrata, le mie riflessioni su queste colonne, e anche di questa possibilità ringrazio il Direttore così come ringrazio la redazione tutta per il sostegno e l’aiuto che ha sempre voluto darmi.
Scrivere sul Corriere del Mezzogiorno, un quotidiano che ha fatto della serietà delle analisi e della concretezza delle proposte la sua cifra peculiare, ha significato e significa per me uno stimolo straordinario a guardare al Meridione d’Italia fuori dei tanti stereotipi di segno opposto con cui – da Nord e da Sud – troppe volte ne viene falsata la percezione. Ha significato e significa imparare a guardarlo per quello che è, nei suoi valori profondi come nelle sue piaghe dolorose, nelle sue debolezze come nei suoi punti di forza.
Il titolo che tre anni fa scegliemmo col Direttore per questa rubrica – “Il tempo del Sud” – teneva insieme due accezioni della parola tempo: scrivere immersi nell’oggi, nel qui e ora, stando sui problemi che ogni giorno segnano la vita dei cittadini meridionali; cogliere come sia giunto finalmente il momento in cui il Mezzogiorno diventi protagonista della rinascita di tutto il nostro Paese. Era una sorta di impegno programmatico quello che il titolo consegnava alla rubrica ed è per questo che ho cercato di non sfuggire ai nodi intricati che la cronaca proponeva alla coscienza e alla riflessione di tutti noi e di evitare risposte di comodo, che scaricassero su altri responsabilità che dobbiamo saperci assumere in prima persona o che si rifugiassero in un “occorrismo” generico e impotente di fronte alla durezza del mondo reale.
Sono stati, del resto, tre anni molto difficili per il Mezzogiorno come per tutta l’Italia. Sul versante economico, prima l’instabilità finanziaria di inizio legislatura ha frenato gli investimenti delle imprese spegnendo la ripresa avviata nel triennio 2015-17; poi, le incertezze della politica economica nazionale hanno lasciato ristagnare tante crisi aziendali, come la ex-Ilva, la Whirlpool, il Sulcis; infine, la pandemia ha dato un colpo durissimo ai livelli produttivi e occupazionali, impoverendo tante famiglie e minacciando di diradare il tessuto produttivo. Sul versante sociale, è proseguito il processo di emigrazione dei giovani dal Sud verso il Centro-Nord e verso l’estero; è andato allargandosi il divario nell’apprendimento scolastico tra le aree del Paese; si è aggravato il degrado urbano in alcune città, a cominciare da Napoli. Mentre l’emergenza sanitaria, nel rivelare insospettate crepe in alcune Regioni del Nord, ha confermato le difficoltà in cui versano servizi essenziali per i cittadini di tante Regioni del Sud.
Ma al tempo stesso sono stati anni in cui è emersa in tante imprese, in tanti lavoratori, in tante espressioni dell’associazionismo e del Terzo Settore, in tanti giovani e donne, la voglia di rimboccarsi le maniche, di non rassegnarsi al declino e di tenere botta anche rispetto alla pandemia, di ricostruire le basi della crescita economica e della solidarietà sociale. Guardare in faccia i problemi ma guardare queste forze positive che li fronteggiano. Ed è dovere delle istituzioni – purtroppo spesso sorde, nonostante importanti eccezioni di sindaci e amministratori locali attenti ai bisogni delle proprie comunità – sostenere attivamente le energie vive della società meridionale in modo che diventino lievito per tutto il tessuto sociale del Mezzogiorno.
Quelle energie che hanno tante volte cambiato la storia del nostro Paese, prima con i patrioti che hanno fatto il Risorgimento, poi con gli uomini di cultura e gli uomini del fare che hanno costruito l’Italia moderna, poi con i lavoratori e le imprese che hanno fatto dei primi venticinque anni della Cassa per il Mezzogiorno l’esempio di come il divario Nord-Sud non sia un destino ineluttabile. E’ tempo che quelle energie possano di nuovo esprimersi per fare del Mezzogiorno il protagonista oggi della rinascita italiana.