Al Mezzogiorno serve una costituente, per riprendere il termine usato da Claudio Signorile nel suo intervento di martedì scorso. Ma una costituente delle idee e della buona politica, trasversale ai partiti di oggi, e un coordinamento tra Regioni sui progetti in grado di sbloccare lo sviluppo. Quello che non serve è un ulteriore livello di intermediazione politica, quale sarebbe una macroregione meridionale che, inducendo la nascita di una ben più forte macroregione settentrionale, sarebbe solo l’anello debole di un’Italia spaccata in due o tre parti.
Certo, Signorile coglie nel segno quando segnala che l’occasione del Recovery Fund richiede che le Regioni meridionali sappiano condividere obiettivi e progetti, consapevoli della nuova centralità del Mediterraneo nella riconfigurazione in atto nei rapporti economici internazionali. Una centralità che conferisce un particolare rilievo strategico all’Italia e al suo Mezzogiorno per il futuro stesso dell’Europa. E questo richiede un salto di qualità della politica meridionale e, aggiungo io, nazionale.
Il vero nodo da sciogliere è quale sia la strada concreta che qui e ora può aprire la prospettiva di un uso efficace delle risorse europee e nazionali per innescare la ripresa del Sud e, con essa, la ripresa d’Italia. Il primo passo da fare al riguardo consiste nell’identificare progetti che abbiano respiro interregionale e su quelli costituire le necessarie forme di coordinamento.
Utilizzerò un esempio per chiarire il problema. La legge di bilancio per il 2018 (l’ultima del Governo Gentiloni) prevede la costituzione della società per l’approvvigionamento idrico primario del Distretto dell’Appennino Meridionale. La norma si è resa necessaria per arrivare finalmente a sostituire l’EIPLI: l’ente, gravato da molteplici inefficienze, era da anni in liquidazione in attesa che le Regioni interessate (Puglia, Basilicata e Campania) procedessero a costituire una nuova società, senza che queste ultime prendessero mai l’iniziativa. La legge di bilancio 2018 ha cercato di sbloccare la situazione con una nuova società partecipata dallo Stato e dalle Regioni: quale occasione migliore per le Regioni del Mezzogiorno continentale (tutte interessate al Distretto) per coordinarsi e imprimere una svolta su un tema così importante per la fornitura di acqua alle popolazioni meridionali e sul quale sicuramente sarebbero impegnabili risorse del Recovery Fund? E, mi sia consentito di aggiungere, non sarebbe male che a più di due anni da quella legge lo Stato decidesse a sua volta di attivarsi per stimolare le Regioni a uscire dall’inerzia.
Diversi problemi si prestano ad essere affrontati con analogo spirito cooperativo, in generale tutti quelli che hanno a che fare con infrastrutture di rilievo interregionale (non quelle di rilievo nazionale, che spettano allo Stato): dalle strade che collegano due o più Regioni del Mezzogiorno, ai trasporti di linea interregionali, dalla dislocazione sul territorio di una rete completa di impianti di smaltimento rifiuti che eviti la loro esportazione tra Regioni, a quella di una rete di depuratori che salvaguardi i mari che bagnano il Sud. Con l’avvertenza che il coinvolgimento dello Stato è una condizione necessaria per dare stimolo all’azione e per riequilibrare i rapporti tra Regioni più forti e più deboli.
L’errore da evitare invece è quello, che in parte è adombrato nell’articolo di Signorile, di ipotizzare una sorta di macroregione meridionale da contrapporre, in chiave rivendicativa, al resto del Paese. Una simile linea finirebbe per rafforzare le pulsioni alla costituzione di una macroregione padana che sono presenti al Nord e che, non a caso, sono state spesso sostenute dalla Lega. Non è difficile rendersi conto che la costituzione di una macroregione settentrionale indebolirebbe in modo radicale il potere redistributivo dello Stato centrale e a farne le spese sarebbe ovviamente il Mezzogiorno. Non è un caso che Stati federali di grande tradizione come gli Stati Uniti e la Germania non contemplino la possibilità di macroregioni, ben consapevoli che l’indebolimento che ne deriverebbe per lo Stato centrale lascerebbe la strada aperta a un allargamento dei divari tra aree forti e aree deboli all’interno del Paese.
Per concludere, ancora una considerazione tratta dall’esperienza, in questo caso dei rapporti tra Italia e Unione Europea sulle politiche di coesione. Se i fondi strutturali previsti per il nostro Paese nel Quadro finanziario pluriennale 2021-27 sono aumentati rispetto al periodo 2014-20, questo lo si deve all’azione che a suo tempo il Governo Gentiloni ha svolto a Bruxelles. In altri termini, per sostenere in Europa il futuro del Mezzogiorno, serve uno Stato che sappia farsi carico delle ragioni del Sud. Non c’è supplenza regionale che possa fare altrettanto.