Interventi
11 November 2020

Un nuovo Sud contro gli stereotipi

di Enzo d’Errico A che punto sia la notte del Covid nessuno lo sa. Ma tutti sanno che l’alba del Recovery Fund è ormai vicina. E che una buona parte di questa scommessa sul futuro si giocherà nel Mezzogiorno. Ecco perché conviene leggere Una questione nazionale (Edizioni Il Mulino), l’ultimo libro curato da Claudio De

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di Enzo d’Errico

A che punto sia la notte del Covid nessuno lo sa. Ma tutti sanno che l’alba del Recovery Fund è ormai vicina. E che una buona parte di questa scommessa sul futuro si giocherà nel Mezzogiorno. Ecco perché conviene leggere Una questione nazionale (Edizioni Il Mulino), l’ultimo libro curato da Claudio De Vincenti e Giuseppe Coco, frutto di una meticolosa e complessa analisi elaborata dal gruppo di lavoro di Astrid che fa il punto sulle prospettive strategiche del Meridione cercando di ribaltarne gli stereotipi.

In sintesi, ci offre gli strumenti per considerare finalmente questo pezzo d’Italia come un’opportunità da cogliere se davvero si vuole invertire il ciclo economico dell’intera nazione e non più, dunque, un peso da trascinare nella faticosa scalata verso la ripresa post-virus.

Lo so, qualcuno dirà: De Vincenti e Coco sono editorialisti di questo giornale ed è ovvio che qui si parli bene del loro lavoro. Giusto, di solito è così. Ma stavolta, credetemi, non è una questione di galateo redazionale: questo volume, ricco di tanti altri contributi firmati da eminenti meridionalisti, merita attenzione a prescindere dalle logiche di appartenenza. Perché parla di noi, di ciò che siamo stati e possiamo diventare, di un’inversione di rotta che per la prima volta è a portata di mano e che perciò va inseguita, tallonata, pretesa. Del resto, agli studiosi tocca tracciare una strada ma siamo noi, se ci convince, a doverla percorrere.

Sapendo che, se ci libereremo dei falsi miti, cammineremo più spediti.

Ad esempio, il divario tra regioni del Paese non è un’anomalia tutta italiana, anzi il nostro indice di disparità — secondo i calcoli dell’Ocse — è inferiore a quello registrato in Francia, Germania e Regno Unito. Quel che invece ci caratterizza è, scrivono De Vincenti e Coco, «la spaccatura geografica in due aree, la persistenza temporale dei divari, l’ampiezza dell’area svantaggiata e la preoccupazione per la divergenza negli indicatori che riguardano i fattori di sviluppo».

Insomma, la questione meridionale esiste eccome, ma in termini diversi dal passato, visto che la globalizzazione e la nuova era tecnologica hanno accentuato le interdipendenze produttive fra i territori, togliendo qualunque consistenza alle antiche idee «secessioniste» fondate sulla logica «liberiamoci della zavorra e potremo volare più in alto».

Oggi, paradossalmente, il problema è l’assenza delle reti d’impresa tra le grandi città del Sud, tutte iper-connesse con i network del Nord ma incapaci di creare legami all’interno del proprio territorio. Così come, sottolineano gli autori, resta aperta quella che potremmo definire «la questione istituzionale». La nascita delle Regioni, al netto degli aspetti positivi derivanti dal decentramento dei poteri, ha disperso la spinta propulsiva che la prima fase degli interventi Casmez aveva innescato sul fronte dell’industrializzazione e, soprattutto, della creazione di infrastrutture moderne: lo Stato centrale, così, ha lasciato il campo a una mera distribuzione territoriale delle risorse, per di più fatta spesso male o addirittura non portata a termine.

In tal modo, il divario che si era notevolmente ridotto ha ripreso a crescere senza che all’orizzonte si intravedesse una progettualità degna di questo nome. Come se non bastasse, inoltre, abbiamo assistito a un sostanziale fallimento delle politiche di coesione europee proprio per la scarsa qualità istituzionale degli enti locali nel Mezzogiorno. C’è stato un cambio di passo soltanto nel triennio 2015-2017, smentendo i molti (a cominciare da Svimez) che profetizzavano la desertificazione economica del Meridione: con un’azione tesa a introdurre nuovi processi decisionali (riduzione dell’intermediazione politica) e modelli di governance fondati sulla centralità di controllo del governo nazionale (i Patti per il Sud), l’allora ministro per la Coesione Territoriale, Claudio De Vincenti appunto, riuscì a far crescere tutte le variabili significative dell’economia meridionale sebbene all’interno di una ripresa complessiva del Paese.

È chiaro che il libro auspichi un consolidamento di quelle politiche ma, allo stesso tempo, i vari scritti da cui è composto (penso, tra gli altri, a quelli firmati da Amedeo Lepore, Mario Rosario Mazzola e Carlo Borgomeo) si aprono coraggiosamente alle prospettive della nostra terra nel post-Covid, a partire dal ruolo che dovremo avere nel bacino mediterraneo. D’accordo, starete pensando, ma qual è la ricetta per gustare un futuro più saporito di questo indigesto presente? Condensiamola in pochi ingredienti, come fanno De Vincenti e Coco: meccanismi di incentivo automatico per gli investimenti al Sud, promozione dell’imprenditoria giovanile, creazione del quadro infrastrutturale necessario a dare attrattività adeguata al territorio, Zone economiche speciali. Il resto, naturalmente, toccherà a noi se sapremo liberarci dei facili piagnistei e di stantie rivendicazioni per disegnare, da protagonisti, il profilo di un Mezzogiorno capace una volta per tutte di parlare il linguaggio della modernità. Consideriamo questo libro al pari di una mappa da adoperare prima e durante il cammino. Ci aiuterà, spero, a non sbagliare strada.

Articolo de il Corriere del Mezzogiorno del 11 novembre 2020

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