Ieri, alla Fiera del Levante, il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte ha rilanciato l’idea – contenuta nel programma di Governo presentato alle Camere per la fiducia – di un piano straordinario di investimenti per la crescita e il lavoro al Sud. L’intenzione naturalmente è positiva, come lo è il fatto che i problemi del Mezzogiorno tornino finalmente in evidenza nell’agenda di Governo. Ma i contorni del “piano” appaiono al momento ancora generici e non privi di contraddizioni rispetto ad altre suggestioni contenute nel programma.
All’attivo possiamo annoverare tre punti indicati da Conte: il “rafforzamento dell’azione della banca pubblica per gli investimenti”, l’esigenza di coordinare e promuovere “strumenti quali Contratti istituzionali di sviluppo e Zone economiche speciali” e quella di “accelerare la realizzazione di progetti di infrastrutturazione, di sviluppo produttivo, di turismo”. Al passivo, l’assenza di indicazioni per strumenti automatici di incentivo per le imprese al Sud, la indeterminatezza delle indicazioni sulle grandi opere, le ambiguità in materia di chiusura del ciclo dei rifiuti e di risanamento delle reti idriche.
Il primo punto all’attivo testimonia che finalmente con il nuovo Governo ci si è ricordati che una banca pubblica per sostenere gli investimenti delle imprese al Sud esiste già da inizio 2018. Da quando cioè il Governo Gentiloni ha promosso l’acquisizione da parte di Invitalia della Banca del Mezzogiorno, un ente che in precedenza non aveva mai svolto il ruolo indicato dal nome, assegnandole la missione di banca di credito a medio e lungo termine orientata prevalentemente al Sud. A oggi, la nuova Banca del Mezzogiorno ha già messo in campo finanziamenti a imprese per oltre un miliardo di euro. Non si tratta quindi di crearla ex-novo – come proclamava in modo inconcludente il Governo giallo-verde – ma di rafforzarne l’azione con una più ampia base patrimoniale e facendone il perno di una possibile riorganizzazione delle banche popolari meridionali. E di accompagnare questa strategia accelerando l’entrata in azione del Fondo investimenti per la capitalizzazione delle imprese al Sud, anch’esso istituito dal Governo Gentiloni e oggi in capo a Cassa Depositi e Prestiti.
Il secondo punto all’attivo suona anch’esso la sveglia rispetto ai quattordici mesi che stanno alle nostre spalle, riportando al centro due strumenti dalle forti potenzialità. Il Contratto istituzionale di sviluppo ha dimostrato a Taranto di costituire uno strumento di governance efficace, sbloccando in poco più di due anni (da gennaio 2016 a primavera 2018) oltre metà del miliardo di risorse a disposizione, prima di essere paralizzato dall’incapacità operativa dell’esecutivo precedente. Le Zone economiche speciali, a loro volta, vanno finalmente attuate per costituire l’attrattore di ingenti investimenti in logistica sui porti e interporti meridionali, dando così al Mezzogiorno il ruolo che gli spetta nei nuovi flussi di traffico che coinvolgono il Mediterraneo.
Il terzo punto all’attivo sposta finalmente l’accento dal reddito di cittadinanza agli investimenti infrastrutturali e produttivi. E’ chiaro però che siamo ancora allo stadio dell’enunciazione e che è urgente che il Governo giallo-rosso chiarisca quali opere sono prioritarie, lasciando alle spalle la stagione dei “no”, e quali linee di politica industriale servono per lo sviluppo del tessuto produttivo al Sud.
E qui vengono i punti al passivo, a cominciare dalla strana dimenticanza del Mezzogiorno quando il programma traccia gli strumenti di politica industriale che ha intenzione di rilanciare. Giustamente – e in rottura con la miopia del precedente esecutivo – rimette al centro Industria 4.0 ma dimentica la sua estensione al Meridione con il Credito d’imposta per investimenti al Sud, uno strumento automatico che tra il 2017 e il 2018 ha attivato oltre 8 miliardi di investimenti delle imprese.
Per continuare con le ambiguità in materia di rifiuti e acqua. Va bene puntare su una impiantistica articolata che riduca il fabbisogno di termovalorizzatori, ma si è consapevoli che la loro pressocché totale assenza al Sud rende impossibile la chiusura ordinata del ciclo anche ove, come necessario, si riducesse al minimo il residuo di rifiuto indifferenziato? E si può chiedere al Governo di abbandonare una volta per tutte i pregiudizi ideologici per cogliere finalmente che la tutela del bene comune acqua esige una gestione imprenditoriale e ingenti investimenti sulle reti e sulla depurazione che solo il partenariato pubblico-privato può apportare?
Il messaggio che il Presidente del Consiglio ha lanciato dalla Fiera del Levante deve quindi maturare al più presto in consapevolezza culturale e concretezza operativa.