Il Sud delle piccole e medie imprese campioni di innovazione e sviluppo (presentate dal Corriere della Sera venerdì scorso a Napoli) e il Sud delle crisi aziendali a rischio (Ilva, Termini Imerese); il Sud della manifattura che cresce e il Sud della base industriale ristretta (12% del valore aggiunto manifatturiero nazionale); il Sud degli investimenti industriali che corrono e il Sud della capacità produttiva falcidiata dalla crisi 2008-13; il Sud che cammina spedito sui mercati esteri (+8% le esportazioni nel 2017) e il Sud che conta per il 10% delle esportazioni nazionali; il Sud dei giovani operai che lavorano in fabbriche di avanguardia manovrando macchine ad alta automazione e il Sud del 46% di disoccupazione giovanile (15-24 anni); il Sud dei giovani imprenditori che guidano il rinnovamento del tessuto industriale e il Sud del milione e ottocentomila NEET (giovani tra i 15 e i 34 anni che non studiano e non lavorano); il Sud delle eccellenze nella ricerca scientifica e tecnologica e il Sud dell’emigrazione di giovani laureati e diplomati; il Sud della produzione farmaceutica di avanguardia e il Sud dei servizi sanitari inadeguati; il Sud della nuova imprenditoria cooperativa e il Sud delle sirene della criminalità organizzata; il Sud dell’agro-alimentare di qualità e il Sud delle condizioni di vita drammatiche dei braccianti extracomunitari; il Sud dei beni artistici patrimonio dell’umanità e il Sud dell’espansione edilizia senza freni; il Sud dei centri propulsori della cultura italiana ed europea e il Sud delle sofferenze umane nelle periferie degradate delle grandi città; il Sud delle coste più belle del Mediterraneo e il Sud dell’ambiente ferito.
Il Sud specchio amplificatore delle contraddizioni italiane, il Sud integrato nelle filiere produttive e nei mercati con il Centro-Nord, il Sud proiettato verso i Paesi del Mediterraneo, il Sud che ripartendo ha sostenuto la ripresa di tutto il Paese: è oggi il tempo del Sud. Perché l’Italia ha bisogno che il Mezzogiorno sia motore e non fanalino di coda di una rinascita nazionale che in questi anni ha cominciato a prendere forma.
Per questo oggi, come non mai, la questione meridionale è una grande questione nazionale. Sul fronte economico, perché l’integrazione che, pur con fatica e contraddizioni, si è realizzata nei centocinquantanni di storia unitaria implica che lo sviluppo della base produttiva e della capacità di reddito delle regioni meridionali è condizione necessaria per dare continuità e forza anche alla crescita del Centro-Nord; e perché la nuova frontiera dei rapporti economici dell’Europa con la sponda sud ed est del Mediterraneo passa per lo sviluppo economico e infrastrutturale del Mezzogiorno. Sul fronte sociale, perché solo risanando le piaghe del Mezzogiorno d’Italia sarà possibile costruire una società in cui ci si sposta per scelta (e in entrambe le direzioni) e si godono gli stessi diritti, sostanziali e non solo formali, di cittadini italiani su tutto il territorio nazionale. Sul fronte politico e istituzionale, perché lo sviluppo economico e sociale del Sud è condizione essenziale per realizzare la coesione tra tutte le componenti della società italiana e quindi per far crescere quel sentimento condiviso di comunità nazionale che costituisce il fondamento di una vita politica e istituzionale dispiegatamente democratica.
Serve per questo un impegno forte dello Stato nazionale, non per calare dall’alto soluzioni sganciate dai bisogni e dalle capacità dei cittadini del Mezzogiorno ma come assunzione di responsabilità per promuovere, in una interazione costruttiva ma non remissiva con le istituzioni regionali e locali, gli interventi necessari a chiudere il divario con il resto d’Italia. E serve però anche l’assunzione di responsabilità delle istituzioni e delle forze economiche e sociali meridionali per superare tentazioni rivendicative e assistenzialistiche, facendosi protagonisti in prima persona della costruzione del futuro del Mezzogiorno e insieme con esso del nostro Paese.