Interventi
14 April 2019

Così la camorra uccide a scuola e manda in frantumi il tessuto sociale

L’agguato di martedì scorso davanti alla scuola di San Giovanni a Teduccio lascia dietro di sé la ferita aperta di un bambino che ha dovuto assistere, salvandosi per miracolo, a un omicidio spietato e quella di una comunità di genitori, alunni, insegnanti, cittadini colpiti nella sicurezza della propria vita quotidiana. E, aggiungendosi alla lunga serie

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L’agguato di martedì scorso davanti alla scuola di San Giovanni a Teduccio lascia dietro di sé la ferita aperta di un bambino che ha dovuto assistere, salvandosi per miracolo, a un omicidio spietato e quella di una comunità di genitori, alunni, insegnanti, cittadini colpiti nella sicurezza della propria vita quotidiana. E, aggiungendosi alla lunga serie degli altri delitti di camorra, pretende di affermare una occupazione criminale di spazi che dovrebbero invece essere di tutti i cittadini.

 Quell’agguato si inscrive così in un circolo vizioso che sta erodendo il tessuto sociale di Napoli come di altre città del Mezzogiorno. Giovedì scorso, in un dolente articolo su queste stesse colonne, Massimiliano Virgilio segnalava il rischio di una “schizofrenia collettiva” in cui, per sopravvivere, ognuno cerchi – pur comprensibilmente – di ricavarsi una propria “isola felice”, che tenga i suoi cari al riparo dai mondi paralleli della violenza e dell’arroganza. E’ proprio questo l’obiettivo ultimo della criminalità organizzata: frantumare il tessuto sociale e spegnere il senso di appartenenza alla comunità cittadina. E più questo processo di disgregazione va avanti più spazio si crea proprio per lo spadroneggiare dei clan di camorra.

Rompere questo circolo vizioso è vitale per la tenuta democratica di Napoli e del Sud. La democrazia si alimenta di individui “liberi e forti”, per riprendere il titolo dell’appello lanciato da Luigi Sturzo un secolo fa, e della loro capacità di costruire una comunità solidale in cui ognuno colloca il proprio destino entro il destino collettivo. La violenza criminale punta a rompere i legami sociali, a spingere ognuno nel proprio “particolare” e a distruggere insieme libertà individuale e senso di comunità: un controstato, perciò, nemico giurato della democrazia.

Si dirà che tutto questo trae alimento dal ritardo di sviluppo del Mezzogiorno e dalla disoccupazione e povertà che quel ritardo porta con sé. E questo è certamente vero e deve richiamarci all’impegno – che non sembra di questo Governo – a contrastare la recessione che incombe oggi sul nostro Paese e a costruire le condizioni strutturali di una crescita stabile del Meridione. Ma, in parallelo, qui e subito è necessario rompere quel circolo vizioso e innescarne uno virtuoso di segno opposto, basato insieme sulla tutela intransigente della sicurezza personale e collettiva e sulla cura attiva e quotidiana dei legami di comunità nella città e nei quartieri. Due i passaggi chiave da compiere.

Il primo ha certamente a che fare con la sicurezza e consiste in un ritrovato controllo del territorio da parte dello Stato in tutte le sue articolazioni, centrali e locali. Controllo del territorio non significa militarizzazione, che lascerebbe intoccate le centrali direttive della criminalità organizzata. Significa invece la combinazione di due azioni: l’intensificazione dell’attività investigativa attraverso un salto di qualità e non solo di quantità, come indicato nei giorni scorsi proprio dal Capo della polizia; la presenza continuativa delle forze dell’ordine nelle aree più sensibili, tale da essere percepita dai cittadini e da ispirare fiducia e sostegno. Su tutte e due queste azioni il Ministro dell’Interno è atteso alla prova dei fatti.

Ma non va sottovalutato anche un altro livello di intervento ed esso chiama in causa il Sindaco: serve una puntuale attenzione da parte di tutti i responsabili dei servizi pubblici della città nei confronti di infrazioni di maggiore o minore gravità che, alimentando atti di vandalismo nei confronti dei beni collettivi, contribuiscono anch’esse – in modo certamente meno grave ma purtroppo diffuso – a minare il senso di appartenenza alla comunità cittadina.

Il secondo passaggio da compiere con altrettanta urgenza riguarda il rafforzamento dei servizi sociali sul territorio, affinché prendano in carico le situazioni di maggiore sofferenza. E la realizzazione nei quartieri più a rischio di attività che facciano da incubatori di socializzazione, sulla scia di quanto stanno facendo di loro iniziativa associazioni e fondazioni del privato sociale che costruiscono soluzioni solidali concrete ai problemi quotidiani delle persone. Per tutto questo servono risorse, che l’attuale gestione del bilancio pubblico ha fin qui compromesso, e serve una interazione positiva tra amministrazione locale e iniziative della società civile.

Innescare quindi un circolo virtuoso tra sicurezza e spirito di comunità per ridare a Napoli, come ad altre città del Mezzogiorno, la speranza concreta di una stagione più umana, in cui gli occhi del piccolo di San Giovanni a Teduccio possano trovare risposta al dolore di oggi.

In attesa, cari lettori, di ritrovarci domenica 28 aprile, sia anche questo il nostro augurio per la prossima Pasqua.

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