Interventi
15 July 2018

“Dignità”, quei titoli accattivanti ora rischiano l’effetto boomerang

Contrasto alla delocalizzazione delle imprese beneficiarie di aiuti pubblici e tutela dell’occupazione nelle stesse imprese: due titoli molto accattivanti per due misure contenute nel decreto legge “dignità”.

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Contrasto alla delocalizzazione delle imprese beneficiarie di aiuti pubblici e tutela dell’occupazione nelle stesse imprese: due titoli molto accattivanti per due misure contenute nel decreto legge “dignità”.  Ma a guardarle bene emerge il rischio che esse ottengano effetti opposti a quelli dichiarati e finiscano purtroppo per avere conseguenze particolarmente negative sull’attrazione di investimenti produttivi nel Mezzogiorno d’Italia.

Partiamo dalla normativa oggi in vigore. Il testo di riferimento è costituito dal decreto legislativo 123 del 1998 (Governo Prodi), che detta i principi che regolamentano gli interventi pubblici di sostegno alle attività produttive. La norma riguarda tutte le forme di sostegno – incentivi, contributi, ecc. – e ne prevede la revoca nei confronti delle imprese che cedano i beni acquistati con l’aiuto pubblico o li utilizzino per scopi o in siti produttivi diversi (quindi delocalizzandoli) da quelli per i quali il sostegno è stato concesso. Il divieto riguarda i cinque anni successivi alla concessione dell’aiuto e comporta la restituzione da parte dell’impresa dell’importo dell’incentivo comprensivo degli interessi calcolati al tasso ufficiale di riferimento maggiorato di cinque punti percentuali.

Le novità del decreto “dignità” rispetto al testo Prodi – che peraltro non viene citato se non incidentalmente – sono essenzialmente due: i cinque anni si calcolano non dalla data di concessione dell’aiuto ma dalla data di conclusione dell’investimento incentivato, con un allungamento di fatto del termine; il regime sanzionatorio resta lo stesso per delocalizzazioni che avvengano entro il territorio nazionale o in Paesi UE, mentre viene appesantito in modo drastico nel caso di delocalizzazioni fuori di questi confini, prevedendo oltre alla restituzione dell’aiuto ricevuto il pagamento da parte dell’impresa di una somma da due a quattro volte il suo importo.

Per le delocalizzazioni entro l’Unione Europea, quindi, il decreto cambia poco rispetto alla normativa già in vigore. Eppure questo è uno dei temi su cui più si è sviluppata la polemica politica nei mesi scorsi. Evidentemente, l’impostazione europea del mercato unico ha indotto il Governo a mantenere un approccio più equilibrato rispetto alle intenzioni di partenza: è chiaro che quando un’impresa cambia strategia di localizzazione deve essere tenuta a restituire alla collettività i fondi pubblici di cui ha eventualmente usufruito, compresi gli interessi e una sanzione proporzionata, ma non c’è bisogno di colpirla con sanzioni iperpunitive. Caso mai il vero problema da affrontare nell’ambito del mercato unico è quello di omogeneizzare le normative fiscali e le regolamentazioni del lavoro in modo da evitare il dumping fiscale e sociale tra i Paesi membri.

L’impostazione del decreto cambia invece radicalmente con riferimento a delocalizzazizoni fuori dei confini UE, prevedendo una sanzione da due a quattro volte l’aiuto. Qui emerge la visione che di fatto è sottesa al decreto, basata su una concezione sostanzialmente negativa dell’attività d’impresa: l’imprenditore che ha richiesto l’incentivo doveva avere di per sé obiettivi opachi, se si ritiene di doverlo punire con una sanzione abnorme. Ma se si ha una visione di questo genere, allora tanto vale non adottare incentivi di alcun genere, piuttosto che renderli inaccettabili per le imprese interessate. E’ chiaro che manca del tutto la consapevolezza che l’attività imprenditoriale è di per sé sottoposta all’incertezza del mercato e non può essere racchiusa in camicie di forza sanzionatorie tali da scoraggiare l’investimento.

Questa drammatica confusione è confermata da un’ulteriore norma prevista nel decreto, laddove estende il regime sanzionatorio della restituzione dell’aiuto comprensivo degli interessi maggiorati ai casi di riduzione dell’occupazione anche in assenza di delocalizzazione. Qual è l’impresa che, al momento in cui richiede l’incentivo, può essere certa che l’evoluzione futura del mercato le garantisca sempre il mantenimento dei livelli occupazionali inizialmente previsti?

Negli anni passati la politica economica ha puntato a ricreare le condizioni di attrattività del nostro Paese e del nostro Mezzogiorno, e gli effetti positivi si stanno vedendo. Si fa occupazione costruendo le condizioni per gli investimenti produttivi, non minacciando di sanzioni chi quegli investimenti prova a farli.

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