Interventi
01 August 2018

Fondi europei, non abbassare la guardia

Sull’utilizzo dei Fondi strutturali europei da parte del nostro Paese assistiamo, più ancora che per altri temi, a una “inerzia” del racconto pubblico: l’Italia non sa spendere, siamo sempre in ritardo, siamo gli ultimi della classe in Europa. Le cose non stanno più così da almeno quattro anni, come ora chiarirò nell’unico modo possibile, ossia

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Sull’utilizzo dei Fondi strutturali europei da parte del nostro Paese assistiamo, più ancora che per altri temi, a una “inerzia” del racconto pubblico: l’Italia non sa spendere, siamo sempre in ritardo, siamo gli ultimi della classe in Europa. Le cose non stanno più così da almeno quattro anni, come ora chiarirò nell’unico modo possibile, ossia numeri alla mano. Continuare con il racconto di prima significa non dare conto delle modifiche intervenute nella gestione dei Fondi e fornire un comodo alibi a chi non riuscisse oggi a proseguire nell’azione intrapresa in questi anni, per appellarsi fatalisticamente a una pretesa congenita incapacità delle amministrazioni.

Veniamo ai dati. Fondi strutturali 2007-13: la svolta politico-amministrativa avviene tra il 2014 e il 2015, con un salto di quantità e qualità nella cooperazione tra Governo nazionale e amministrazioni regionali e locali che porta all’assorbimento totale dei fondi al 31 dicembre 2015 (ricordo che questa era l’ultima data utile per la spesa delle risorse di quel ciclo di programmazione). L’unica limitata perdita, pari a 156 milioni su oltre 4 miliardi di fondi, si registra in Sicilia (dove si partiva peraltro con un ritardo pesantissimo). E’ vero che una parte del risultato è dovuta a un’azione di riprogrammazione in corsa e riallocazione delle risorse nazionali ed europee, ma questo significa anche una nuova capacità di correggere errori di programmazione e gestione precedenti. Il risultato raggiunto segnala la consapevolezza politica da parte del Governo di allora e l’efficacia dell’azione del Dipartimento per le politiche di coesione e dell’Agenzia per la coesione territoriale costituiti appunto tra il 2013 e il 2014.

Fondi strutturali 2014-20: mentre si agiva sul recupero della spesa del ciclo precedente si impostavano i nuovi programmi entro un quadro di regole europee più complesso ed esigente che in passato, a cominciare dalle cosiddette condizionalità ex-ante, riferite a riforme strutturali e a rafforzamenti amministrativi richiesti a tutti i Paesi membri e che sono state interamente soddisfatte dal Governo italiano tra il 2014 e il 2016. Non a caso, data la complessità delle nuove procedure programmatorie, la Commissione Europea ha allungato al terzo anno successivo alla conclusione del ciclo 2014-20 il termine ultimo per la spesa dei relativi fondi (cioè al 31 dicembre 2023).

Per l’Italia sono stati fissati primi target di spesa certificata pari a 1,4 miliardi al 31 dicembre 2017 e a circa 8,5 al 31 dicembre 2018. Ebbene, l’obiettivo per l’anno appena trascorso è stato più che raggiunto, con 2,6 miliardi di spesa certificata. Si è osservato che l’incidenza sui fondi disponibili (circa il 4,8%) è bassa rispetto ad altri Paesi membri: in realtà è questo un problema che accomuna i Paesi con maggior dotazione di Fondi strutturali e corrispondentemente una programmazione più complessa, in particolare oltre a noi Polonia e Spagna.

Per l’anno in corso, gli ultimi dati disponibili riportano 4 miliardi di spesa erogata al 28 febbraio scorso, con uno stato di avanzamento che rende conseguibile l’obiettivo stabilito dalla Commissione per il 31 dicembre prossimo. Lo conferma il fatto che siamo entrati nel 2018 con 24,6 miliardi di progetti avviati, di cui 11,3 miliardi di spesa già impegnata, due dati perfettamente in linea con la media europea.

Tutto questo non significa che possiamo stare tranquilli: è assolutamente necessario non abbassare la guardia e non interrompere l’azione amministrativa avviata. Tenendo conto in particolare del fatto che lo stato di avanzamento non è omogeneo tra i diversi programmi nazionali e regionali e che quindi occorre monitorare attentamente la situazione e rafforzare ulteriormente la cooperazione tra Agenzia per la coesione e amministrazioni centrali e regionali.

Il primo passo consiste nel non tornare indietro rispetto all’assetto di governance dei processi realizzato in questi anni: sul piano politico con la Cabina di regia del Fondo sviluppo e coesione e con i Patti per lo sviluppo e la corrispondente azione di responsabilizzazione nei confronti delle Regioni; sul piano amministrativo con la costituzione del Dipartimento per le politiche di coesione e dell’Agenzia per la coesione territoriale, anche attivando specifiche task-forces tra Agenzia e singola amministrazione come fatto a suo tempo per portare a termine il ciclo 2007-13. E soprattutto non cercare alibi: gli obiettivi stabiliti dalla Commissione per il nostro Paese sono conseguibili. Hic Rhodus hic salta.

Articolo del  agosto 2018 per il Corriere del Mezzogiorno

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