Interventi
30 November 2019

Mano pubblica solo per soluzioni di mercato

Comprensibile ma sbagliato che di partecipazione pubblica nel capitale d’impresa si torni a parlare sull’onda di crisi aziendali come Ilva e Alitalia. Comprensibile per le difficoltà che il Governo sta incontrando nel far emergere soluzioni di mercato adeguate alla funzione strategica di queste imprese. Sbagliato perché, creando l’illusione che si possa aggirare la verifica di

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Comprensibile ma sbagliato che di partecipazione pubblica nel capitale d’impresa si torni a parlare sull’onda di crisi aziendali come Ilva e Alitalia. Comprensibile per le difficoltà che il Governo sta incontrando nel far emergere soluzioni di mercato adeguate alla funzione strategica di queste imprese. Sbagliato perché, creando l’illusione che si possa aggirare la verifica di mercato, finisce per generare equivoci pericolosi e per distorcere il ruolo strategico che, sotto determinate condizioni, lo Stato azionista può e deve svolgere.

Naturalmente, a delimitare il campo rispetto a eventuali impropri sconfinamenti da parte della direzione politica stanno la normativa europea e quella italiana in materia di concorrenza e regolazione. In particolare, sul versante europeo, il principio di parità di trattamento tra impresa pubblica e impresa privata e quello del comune assoggettamento alle regole della concorrenza e alla normativa sugli aiuti di Stato. E, sul versante nazionale, l’azione generale dell’Antitrust a tutela della concorrenza nonché quella specifica delle Autorità di regolazione settoriali per la promozione di un “terreno di gioco livellato” per tutti gli operatori. 

Si tratta del contesto normativo e regolatorio necessario affinché la stessa politica industriale possa raggiungere obiettivi di interesse generale, come quello di promuovere un tessuto di imprese in grado di assicurare uno sviluppo produttivo e occupazionale duraturo. Solo imprese in grado di stare sul mercato con redditività positiva – che siano interamente private o a partecipazione pubblica – possono generare le risorse da reinvestire in innovazione e crescita. 

In questo quadro, la partecipazione pubblica al capitale può e deve svolgere la funzione peculiare di promuovere – nel rispetto di criteri di mercato – investimenti strategici che non sempre il privato è in grado di effettuare spontaneamente a causa di caratteristiche proprie di alcuni di essi, come il lungo orizzonte temporale di riferimento o un più alto rapporto rischio/rendimento in un contesto di forte competizione globale. Investimenti spesso in attività alla frontiera dell’innovazione e con ricadute di sistema sulla produttività e la competitività dell’intero Paese.

Condizione necessaria affinché la partecipazione pubblica nel capitale possa svolgere questo ruolo è l’autonomia del management nella definizione della strategia imprenditoriale che deve tradurre gli obiettivi indicati dagli azionisti – compreso l’azionista pubblico – in scelte industriali che si misurano con il mercato. La degenerazione del vecchio sistema delle partecipazioni statali cominciò nel corso degli anni Settanta e Ottanta del secolo scorso, quando proprio quell’autonomia manageriale che aveva consentito i successi dei venti anni precedenti – ricordati ieri su queste stesse colonne da Valerio Castronovo – venne compromessa da scelte politiche che imponevano “oneri impropri” alle imprese e penetranti condizionamenti da parte della politica. Oggi il contesto è mutato e la normativa italiana ed europea che richiamavo all’inizio aiuta a contenere questo rischio. Ma deve essere accompagnata – nei rapporti tra azionista pubblico e management – da regole di governance coerenti: statuti delle società che stabiliscano un diaframma a tutela dell’autonomia imprenditoriale; partecipazione al capitale di azionisti privati e quotazione in Borsa, che rafforzino la disciplina di mercato cui le scelte operative del management devono rispondere. 

Tutto ciò c’entra assai poco con la scorciatoia illusoria di nazionalizzazioni o ingressi pubblici nel capitale che vengano prospettati per sanare crisi aziendali che non si riescono a curare. Di fronte a quelle che stanno sui tavoli del Ministero dello sviluppo economico, il primo dovere della politica è cercare di costruire le condizioni affinché si trovi la strada di una ripresa competitiva che dia un futuro all’impresa, ossia cercare di costruire le condizioni per una soluzione di mercato. Solo se si riesce a creare queste condizioni ha senso poi porsi il problema se un intervento nel capitale dell’impresa può aiutare a far emergere e a consolidare la soluzione di mercato. 

Invocare la partecipazione pubblica in assenza di prospettive imprenditoriali serie significherebbe in realtà votare l’intervento pubblico alla sconfitta. 

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