Interventi
26 May 2019

Mezzogiorno vicino all’Europa, la posta in gioco nelle urne

Mezzogiorno vicino all’Europa, non solo Milano come nella canzone di Lucio Dalla: questa la partita che si gioca con il voto di oggi. Due i nemici da cui guardarsi per un Meridione che voglia essere protagonista della legislatura europea che sta per aprirsi: assistenzialismo e sovranismo. Il primo ripete invariato il copione con cui in

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Mezzogiorno vicino all’Europa, non solo Milano come nella canzone di Lucio Dalla: questa la partita che si gioca con il voto di oggi. Due i nemici da cui guardarsi per un Meridione che voglia essere protagonista della legislatura europea che sta per aprirsi: assistenzialismo e sovranismo.

Il primo ripete invariato il copione con cui in alcune fasi della nostra storia sono state paralizzate le energie positive del Sud ed emarginate le forze migliori del lavoro e dell’impresa. Il Mezzogiorno ha invece bisogno di crescita e di lavoro produttivo: realizzare (non bloccare) le infrastrutture che mancano; intervenire concretamente (non astenersi dal fare) per risanare l’ambiente e il paesaggio feriti; sostenere (non penalizzare) gli investimenti privati che fanno impresa, introducono innovazione, competono sui mercati internazionali; investire (non disperdere le risorse) su scuola e formazione perché i giovani sono la risorsa più importante del Mezzogiorno.

E’ in questo quadro che politiche di assistenza a chi vive in condizioni di povertà ed esclusione sociale possono diventare politiche per il lavoro e l’inclusione: senza il riferimento alle politiche per lo sviluppo, l’assistenza diventa assistenzialismo e quindi, nella migliore delle ipotesi, un “pannicello caldo” e, nella peggiore, uno strumento per condannare il Meridione alla subalternità. Non a caso, è l’unico strumento messo in campo per il Sud dalla componente a sua volta politicamente subalterna dell’attuale maggioranza gialloverde.

Il sovranismo sostenuto dall’altra componente isola l’Italia dal concerto europeo e tesse alleanze con i Paesi di Visegrad, ossia proprio con coloro che sono più interessati a contrastare politiche dell’Unione che siano a favore dei Paesi del Sud Europa in termini di fondi di coesione e di gestione dei migranti. Il sovranismo è strutturalmente contro gli interessi del Mezzogiorno d’Italia, non solo perché è connivente con chi vuole farci perdere risorse del bilancio UE fondamentali per il Sud, ma perché rompendo i legami tra Italia ed Europa non consente al nostro Paese, e quindi al Mezzogiorno, di diventare piattaforma produttiva, logistica e politica per la proiezione dell’Europa nel nuovo scenario economico internazionale, che vede il Mediterraneo al centro della rete di relazioni economiche tra Oriente e Occidente e tra Nord e Sud del mondo.

Assistenzialismo e sovranismo sono quindi le due facce della stessa medaglia, quella di una politica volta a tenere il Mezzogiorno in condizioni di subalternità e, così facendo, a impedire all’Italia tutta di rimettersi in cammino sulla strada della rinascita economica e civile e della attiva costruzione di un’Europa unita di fronte alle sfide della globalizzazione.

Una politica che rinnega il meglio della storia d’Italia e del suo Mezzogiorno, una storia che non solo è stata all’origine della civiltà europea – con il fiorire della Magna Grecia e della civiltà romano-ellenica – ma parte attiva della elaborazione culturale che percorre tutta la storia d’Europa – da Federico II agli illuministi napoletani del Settecento e agli scrittori siciliani del Novecento, solo per richiamare qualche esempio. L’Italia e il Mezzogiorno, quindi, protagonisti di quei “tanti fili della cultura europea” di cui ha parlato recentemente Giuliano Amato: da quei fili è emerso via via un modo di pensare e di sentire, consuetudini sociali, “tradizioni costituzionali comuni”, fino all’aspirazione “a vivere uniti nelle nostre diversità” che ha trovato la sua più alta espressione nel Manifesto di Ventotene che Altiero Spinelli (romano), Ernesto Rossi (casertano) ed Eugenio Colorni (milanese) scrissero nel 1941, in piena tragedia bellica.

Perché non dobbiamo mai dimenticare che non è per nulla scontato che le diversità nazionali non si trasformino, da stimolo fecondo per l’arricchimento di costumi, arte, scienza della comune civiltà europea, in pulsioni distruttive di odio e violenta contrapposizione, come abbiamo visto nel corso del Novecento con i due spaventosi conflitti mondiali e più di recente con la guerra disumana nella ex Jugoslavia. Il nazionalismo è una bestia cui abbiamo il dovere di non concedere mai spazio.

Il voto di oggi è veramente decisivo per ridare forza – nelle nuove condizioni e di fronte alle nuove sfide della nostra epoca – all’aspirazione di pace e di progresso comune che ispirava i padri fondatori dell’Unione Europea. Andiamo a votare per riaprire un orizzonte di speranza ai giovani cittadini europei del Mezzogiorno d’Italia.

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