Interventi
07 July 2019

Sud, il declino non è inevitabile una strategia di sviluppo è possibile

Si è ormai interrotta la ripresa dell’economia italiana avviata nel 2015: questo ci dicono gli ultimi dati Istat sulla ulteriore caduta in giugno dell’indice di fiducia di famiglie e imprese e sulle aspettative delle aziende riguardo ai futuri livelli di attività. E se l’occupazione mostra ancora un qualche aumento – scontando il consueto ritardo rispetto

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Si è ormai interrotta la ripresa dell’economia italiana avviata nel 2015: questo ci dicono gli ultimi dati Istat sulla ulteriore caduta in giugno dell’indice di fiducia di famiglie e imprese e sulle aspettative delle aziende riguardo ai futuri livelli di attività. E se l’occupazione mostra ancora un qualche aumento – scontando il consueto ritardo rispetto all’andamento della produzione – è comunque evidente il suo forte rallentamento, che purtroppo nel Mezzogiorno prende la forma di perdita di posti di lavoro già in atto (dati Istat del primo trimestre). 

La riduzione dell’occupazione al Sud è la rappresentazione plastica della stagnazione produttiva dell’economia meridionale, dopo tre anni – 2015-17 – di crescita finalmente maggiore, seppur di poco, rispetto a quella del Centro-Nord. Sembra quasi un destino che il Mezzogiorno non riesca ormai da quattro decenni a sperimentare uno sviluppo stabile e duraturo. Ma è veramente un destino o le politiche hanno qualcosa da dire?

  Torna utile a questo proposito il recente pamphlet di due economisti della Banca d’Italia, Antonio Accetturo e Guido De Blasio, che tenta una valutazione ex post delle politiche per il Sud realizzate in passato (Morire di aiuti, IBL Libri 2019). Gli autori concentrano l’analisi sulle politiche attuate tra l’inizio degli anni Novanta e il 2013, per le quali i dati statistici disponibili consentono già una prima stima degli effetti: dalla Legge 488 del 1992, ai Patti territoriali e ai Contratti d’area di fine anni Novanta e inizio Duemila, all’uso dei Fondi strutturali 2007-13. Le conclusioni cui giungono sono molto critiche.

Si tratta di un saggio snello che ha il pregio di tradurre esercizi tecnicamente raffinati in riflessioni fruibili anche da un pubblico non specialista. Personalmente, mantengo qualche riserva sulla valutazione di alcune specifiche misure: ritengo per esempio che la 488 abbia avuto effetti positivi che la stima proposta dagli autori non consente di cogliere o che la valutazione di inefficacia sull’utilizzo dei fondi strutturali 2007-13 non tiene conto del biennio 2014-15, nel quale si è concentrata buona parte della spesa delle risorse di quel ciclo di programmazione. Ma credo che colga nel segno la conclusione generale di Accetturo e De Blasio riguardo all’impotenza delle politiche di sviluppo locale basate sul pressocché totale decentramento alle Regioni – teorizzato e applicato fino al 2013 – delle decisioni riguardo all’uso delle risorse nazionali ed europee.

Come pure condivido le valutazioni sugli effetti collaterali indesiderati che sono spesso derivati da quelle politiche: incentivi a comportamenti diffusi di appropriazione di rendite, fenomeni corruttivi, conseguente deterioramento complessivo del capitale sociale e del senso di comunità. 

Dobbiamo per questo accettare la conclusione cui giunge Nicola Rossi nella sua prefazione al libro, e cioè che l’unica soluzione sia la cancellazione delle politiche di sostegno al Mezzogiorno? Una conclusione ben singolare da parte di un economista, alla luce della vasta letteratura economica sulla tendenza spontanea alla polarizzazione dello sviluppo in assenza di interventi consapevoli di politica economica. Semmai il problema è: quali politiche sono efficaci? E del resto è questo l’obiettivo cui vogliono contribuire Accetturo e De Blasio con le loro crude analisi.

E’ importante allora ricordare che tra il 2014 e il 2017 (periodo non analizzato dal libro) si era avviata una svolta radicale nelle politiche di coesione: prima con le Task-Force tra Governo centrale e Regioni per utilizzare in tempo utile (fine 2015) tutti i fondi strutturali 2007-13 e poi con i Patti per il Sud, il Governo nazionale aveva ripreso una funzione di guida e di controllo sulla realizzazione effettiva degli investimenti pubblici; con il credito d’imposta per gli investimenti privati al Sud si era creato un meccanismo automatico e certo di incentivo per le imprese che disintermedia i potentati locali; e lo stesso con Resto al Sud per finanziare i giovani che vogliono fare impresa. I primi risultati sono stati incoraggianti: 8,4 miliardi di investimenti privati dal credito d’imposta, 13.000 domande per Resto al Sud (cui corrispondono 40.000 giovani imprenditori), 9 miliardi di lavori avviati (cantieri e servizi) dai Patti per il Sud fino a gennaio 2018.

L’attuale Governo ha definanziato il credito d’imposta e ha abbandonato i Patti a loro stessi: se ora la stagnazione del Sud torna a ripetersi è per una scelta consapevole, non per un inevitabile destino. Ma le politiche del 2014-17 stanno a testimoniare che altre scelte sono possibili per riaprire una speranza credibile.

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