Interventi
02 July 2018

Avremmo bisogno di più crescita, invece rischiamo una «gelata»

L’Italia e il suo Mezzogiorno hanno bisogno di un contesto di politiche di sviluppo nella stabilità.

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In questi giorni si è fatta sentire la voce delle imprese: un primo campanello di allarme quello che risuona dal Convegno Confindustria di Caserta e che riprende l’analisi del recente Rapporto CSC sull’evoluzione in atto nell’economia italiana. A cominciare dal rischio dazi: l’escalation in corso è particolarmente pericolosa per una economia di trasformazione come quella italiana e per il nostro Mezzogiorno che vede nella ripresa delle esportazioni (+15,9% nel triennio 2015-17, superiore a quella del Centro-Nord) una componente trainante della sua ripresa produttiva. L’eventuale introduzione da parte americana, dopo quelli su acciaio e alluminio, di dazi anche sul settore automotive avrebbe effetti pesanti, a cominciare dal Mezzogiorno dove sono presenti i più importanti stabilimenti FCA e un indotto rilevante.

Ma quello che viene dal Centro Studi Confindustria è un allarme più generale e che fa riferimento a dati di fatto già osservati: gli investimenti delle imprese hanno segnato in questa prima parte del 2018 una brusca frenata che mette a rischio la ripresa avviata nel triennio appena trascorso. E non si tratta, secondo il Rapporto, solo delle incertezze per le spinte protezionistiche internazionali, ma di una forte incertezza sulla politica economica interna: mancano da parte del nuovo Governo indicazioni di politica industriale e infrastrutturale – cosa succederà di Industria 4.0, del Credito d’imposta Sud, delle opere pubbliche fondamentali per lo sviluppo del Paese? – mentre si susseguono prese di posizione che, come testimoniato dall’ultimo Consiglio Europeo, allontanano l’obiettivo di quella solidarietà intraeuropea che è essenziale proprio nella fase attuale di instabilità internazionale.

Non sembri strano accostare ora a questo allarme su investimenti e crescita nel 2018-19 il dato sulla povertà 2017 reso noto dall’Istat qualche giorno fa: la sua incidenza si colloca su livelli decisamente elevati nel Mezzogiorno e, per alcune fasce di popolazione, anche nel Centro-Nord. L’indice di povertà assoluta – famiglie che non sono in grado di acquistare un paniere di beni rappresentativo di condizioni di vita accettabili – supera il 10% nel Sud, con punte che toccano le famiglie numerose e quelle con persona di riferimento disoccupata.

Il dato ci dice che la ripresa 2015-17 non è stata ancora sufficiente per cominciare a riassorbire il dramma della povertà. Il fatto è che si tratta di un fenomeno le cui determinanti si cumulano nel tempo e che risente oggi dei danni pesanti provocati dalla crisi esplosa nel 2008. In particolare, 576 mila posti di lavoro persi nel Mezzogiorno tra il 2008 e il 2014, tanto più partendo da una condizione pregressa di bassa occupazione, hanno provocato ferite dolorose nel tessuto sociale e in particolare nelle condizioni di vita dei giovani, ferite che non risultano ancora sanate dall’incremento, pur importante, di 266 mila occupati negli ultimi tre anni. I sostegni al reddito, come il Reddito di inclusione, possono aiutare a contenere gli effetti della povertà ma non possono sostituire la produzione del reddito attraverso il lavoro: solo una crescita del Pil e dell’occupazione duratura e sostenuta crea le condizioni per modificare stabilmente le condizioni di vita delle famiglie.

E qui sta il motivo dell’accostamento che abbiamo fatto tra allarme sulle prospettive economiche e povertà ereditata dal passato: oggi avremmo bisogno di più crescita e invece corriamo il rischio di una “gelata”. Eppure non mancano i segnali che il nostro Paese è in grado di riattivare una crescita stabile: il 2017 ha segnato con un +1,5% un consolidamento della ripresa economica avviata nel 2015, portando al 3,4% l’incremento cumulato del Pil nel triennio, con il Mezzogiorno a +3,8%. Tutto questo non basta, naturalmente, ma è un segnale da cogliere della vitalità del tessuto economico italiano e della presenza nel Mezzogiorno di realtà produttive che stanno confrontandosi con successo sui mercati internazionali.

Interrompere questo processo sarebbe imperdonabile: si prenda finalmente atto che la decrescita, come il nostro Paese ha dolorosamente sperimentato nel 2008-13, non è mai “felice” e che l’Italia e il suo Mezzogiorno hanno bisogno di un contesto di politiche di sviluppo nella stabilità.

Articolo del 2 luglio 2018 per il Corriere del Mezzogiorno

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